di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Fra le varie incongruenze alla base della crisi di consensi nel Partito Democratico ce n’è una emblematica di tutte le altre: quella riguardante la “questione femminile”. Nel giorno della direzione nazionale, convocata da Enrico Letta dopo la sconfitta elettorale, il tema della mancanza di una consistente presenza di donne ai vertici del partito è al centro del dibattito. Una questione che va avanti da tempo. Basti pensare al fatto che, nella formazione del governo uscente, il Pd era stato l’unico fra i partiti dell’amplissima maggioranza a sostegno di Draghi – dalla Lega ad Iv, da Forza Italia ai Cinquestelle – a proporre, per la propria compagine di ministri all’interno dell’Esecutivo, solo nomi di uomini, sollevando aspre reazioni interne. Dopo il 25 settembre, ben poco è cambiato. Del centinaio di eletti Pd tra Camera e Senato solo un terzo sono donne, esattamente come negli altri partiti. Un po’ poco per chi si dichiara principale interprete della parità di genere, specie se dall’altra parte, nella tanto vituperata destra, c’è una donna, per giunta 45enne, nel ruolo di leader della prima formazione della coalizione e probabile nuovo capo del governo: Giorgia Meloni. Il tutto senza appellarsi alle “quote rosa” e senza ergersi a paladini dell’inclusività, ma, semplicemente, mettendo in atto un po’ di sana ed obiettiva meritocrazia. Un cortocircuito talmente palese da aver costretto diverse esponenti Dem ad ammettere, anche se a denti stretti e con i soliti distinguo, la migliore prova offerta dagli avversari in tema di parità di genere. Questo problema, però, a ben vedere, va oltre il tema specifico delle pari opportunità e abbraccia la questione più ampia della credibilità del partito, come ha chiarito efficacemente, fra le altre, Alessia Morani: «Se la parità resta solo enunciata e non viene praticata, ma che credibilità puoi avere?». Questo il punto: all’atteggiamento moraleggiante del principale partito di sinistra, che spesso e volentieri si confronta con gli avversari non sui temi concreti, ma dall’alto di un piedistallo di presunta superiorità, non corrispondono comportamenti conseguenti. Sulle donne, ma anche su moltissimi (forse tutti) gli altri temi: dalle leggi sul lavoro alle politiche industriali, dal welfare alle riforme istituzionali alla giustizia, dai rapporti internazionali alle politiche su immigrazione ed inclusione. E si potrebbe continuare a lungo. Non c’è argomento sul quale, a ben vedere, non ci sia una discrasia fra teoria e pratica. Questo il tema che dovrebbe essere all’ordine del giorno, se l’intenzione fosse quella, non di inaugurare una nuova stagione di guerra fra correnti o cambiare il front-man di una band che suona sempre la solita musica, ma di comprendere le vere ragioni della crescente disaffezione popolare verso il Pd.