di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

I dati sono chiari: nel nostro Paese sono circa 10 milioni le persone in stato di povertà. Più di un italiano su sei si trova in condizione di difficoltà economica, considerando che al 2022 la popolazione compressiva ammonta a poco meno di 59 milioni di individui. Più della metà di questi, 5 milioni e mezzo, si trova in stato di povertà assoluta, ossia non è in grado acquistare quel paniere di beni e servizi considerato essenziale per evitare gravi forme di esclusione sociale. La nuova stima proviene dallo studio di Censis e Confcooperative “Un paese da ricucire”. Un’indagine che fornisce ulteriori dettagli in merito ad una situazione purtroppo nota da tempo. Ed ora è alle porte un autunno nuovamente “caldo”. Stavolta a causa della crisi energetica, che minaccia molto concretamente di determinare la chiusura di migliaia di imprese, con drammatici contraccolpi sull’occupazione, e di erodere ulteriormente il potere d’acquisto, già piuttosto basso, della gran parte dei redditi da lavoro e da pensione. Contrastare l’impoverimento crescente dovrà per forza di cose essere uno degli obiettivi prioritari del nuovo governo. Finora, lo testimoniano, a prova di smentite, i dati, la politica non è riuscita ad invertire la parabola discendente che ha portato all’impoverimento del Paese. Unico mantra della sinistra, che per circa undici anni ha tenuto le redini del governo, quello di ipotizzare, senza ovviamente possibilità di riscontro, che con “gli altri” la situazione sarebbe stata ancora più grave. Un po’ poco, tutto sommato, appellarsi alla regola del “poteva andare peggio”. È vero, l’Istat ci aveva informato del fatto che senza Reddito di Cittadinanza i poveri sarebbero stati ancora di più, certo, il reddito ha svolto un ruolo importante durante la pandemia, garantendo un sostegno a chi ne aveva bisogno. Ma, volendo imprimere una svolta e provando a lavorare non per tamponare, ma per cambiare radicalmente questa situazione di povertà dilagante, occorre avere il coraggio di fare di più. Anche intervenendo, senza tentennamenti, per cambiare una misura come il RdC, che non deve essere un “totem”, ma uno strumento criticabile e migliorabile, da rimodulare, rimuovendo distorsioni e rendendolo più efficace. Per questo occorre la trasformazione di questo sussidio in un reddito di “responsabilità”, in modo che da un lato ci sia la doverosa assistenza verso chi non può lavorare e dall’altro efficaci politiche di inserimento per chi invece è in grado di farlo, destinando il reddito percepito in contributo alle aziende che si impegnano ad assumere i percettori. In parallelo è altrettanto urgente, data la crisi energetica, mantenere attivo il nostro sistema produttivo di fronte alla crescita dei costi delle utenze e tutelare le famiglie dal caro bollette, con interventi, assolutamente prioritari, sul fronte energia. E pensare a una complessiva riforma del fisco, a partire dal cuneo.