Viene introdotta una norma contro le delocalizzazioni selvagge, sul modello di quanto sta succedendo a Trieste con la Wärtsilä

Il decreto-legge Aiuti ter risente, inevitabilmente, del clima nel quale è stato scritto e pensato, alla vigilia di una tornata elettorale anticipata. È quindi difficile dare un giudizio complessivo sulle misure adottate e sulla reale efficacia delle stesse. Il punto di partenza è dato dalle risorse impiegate: si tratta di oltre 13 miliardi destinati a produrre effetti da qui a Natale. Una cifra importante, ma che, comunque la si voglia leggere, non è sufficiente a rimettere in carreggiata famiglie e imprese. I maggiori costi energetici delle prime sono compensati con una indennità una tantum di 150 euro, riconosciuta a molte categorie di lavoratori, ma non a tutte, per cui gli scontenti saranno tanti. Parametrando questa cifra su di una famiglia di quattro persone, parliamo dell’equivalente di una spesa alimentare di un paio di settimane o di una bolletta della luce. Sul versante delle imprese, ancora una volta si ricorre quasi sempre allo strumento del credito d’imposta a compensazione di parte dei maggiori costi energetici. Sarebbe stato meglio un contributo diretto, in quanto il credito di imposta presuppone il fatto che l’impresa sia in salute e riesca a pagare, cosa non affatto scontata in questo momento. Il decreto-legge Aiuti ter prova anche a sostenere gli enti locali e le regioni, stanziando delle risorse per i servizi essenziali, in particolare il trasporto pubblico e la sanità e a porre un freno alle delocalizzazioni selvagge. Quest’ultima misura rimanda a quanto sta succedendo a Trieste, con il caso della multinazionale finlandese Wärtsilä che in estate ha annunciato improvvisamente la chiusura del sito produttivo e il conseguente licenziamento di oltre 450 dipendenti.