di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La Germania, a guida socialdemocratica, ieri ha scelto il “sovranismo” energetico. E non è stata l’unica: anche Francia, Spagna, Portogallo, per non parlare dell’Olanda e del suo Ttf. Già questo sarebbe sufficiente a disinnescare polemiche prive di fondamento contro chi vorrebbe una classe dirigente italiana più attenta alla difesa degli interessi nazionali, anche nel confronto con i partner europei, che già lo fanno, senza troppe fisime ed a prescindere dal colore dei governi. La decisione presa dai tedeschi è stata quella di stanziare 200 miliardi contro la guerra energetica e la recessione, per fare in modo che sia lo Stato a farsi carico dell’aumento delle bollette, lasciando a cittadini ed imprese prezzi più bassi, per mantenere attiva la macchina della produzione e dei consumi e garantire stabilità sociale. Un provvedimento possibile anche a causa dei conti, sicuramente più in ordine dei nostri. Bene, anzi malissimo. Perché in questo modo, ignorando le difficoltà degli altri partner europei, fra cui la nostra Italia, e le richieste di agire congiuntamente, tutta la retorica europeista decade: quali i vantaggi di far parte dell’Unione per poi non avere nessuna collaborazione nel caso di una crisi di portata epocale come quella attuale, che si preannuncia, se non peggiore, almeno equivalente a quella determinata dal Covid? Forse anche stavolta alla fine si riuscirà a trovare un accordo nella Ue, come avvenne durante la pandemia: anche allora, non lo dimentichiamo, la decisione di intervenire arrivò dopo mesi di tentennamenti da parte dei Paesi del nord e solo quando la pandemia e le sue conseguenze economiche erano deflagrate in tutta Europa. Stavolta potrebbe accadere lo stesso. La fuga in avanti di Berlino ha irritato anche il premier Draghi, non certo imputabile di anti-europeismo: «La crisi energetica richiede da parte dell’Europa una risposta che permetta di ridurre i costi per famiglie e imprese, di limitare i guadagni eccezionali fatti da produttori e importatori, di evitare pericolose e ingiustificate distorsioni del mercato interno e di tenere ancora una volta unita l’Europa di fronte all’emergenza». Trovando così anche una sintonia con la sua probabile erede a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni, che vorrebbe trovare una soluzione al caro-bollette senza indebitare ulteriormente il Paese. Ma la strada è in salita: nessuna decisione sul price cap al gas al Consiglio straordinario Ue sull’energia, solo misure di razionamento, tetto ai ricavi dei produttori da rinnovabili o nucleare, contributo di solidarietà da quelli da fossili. L’auspicio è che l’Italia riesca, anche stavolta, a trovare in extremis una formula risolutiva, europea o meno che sia. Ci vorrebbe concretezza ed anche un bel po’ di sano sentimento di orgoglio nazionale. Quello che ci è mancato in questi anni e che avrebbe consentito, per dirne una, maggiore indipendenza energetica. L’aver fatto affidamento su globalizzazione e sovranazionalismo senza mettere prima in sicurezza il Paese, almeno nei settori strategici, è stata una scommessa a dir poco azzardata, ed ora lo vediamo chiaramente. Il vento in politica è cambiato e questo dà un po’ di fiducia, ma la situazione che si troverà ad affrontare il nuovo Esecutivo è già molto compromessa. Sperando che non sia troppo tardi per la nostra economia e per la nostra società.