di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

L’anno scolastico è appena iniziato e nel peggiore dei modi. Un altro giovanissimo, infatti, è morto, in fabbrica, durante l’alternanza scuola-lavoro. Aveva 18 anni e si chiamava Giuliano De Seta, studiava presso l’Istituto Leonardo Da Vinci di Portogruaro e, nell’ambito del suo percorso formativo faceva uno stage in un’azienda di Noventa di Piave, in provincia di Venezia, la Bc Service. Un percorso scolastico e soprattutto una vita intera interrotti da una lastra di metallo, che sarebbe caduta colpendolo mortalmente e rendendo inutili i soccorsi. Il fatto, terribile, è avvenuto lo scorso venerdì, solo pochi giorni dopo l’inizio della scuola. «Una morte inaccettabile che che ha colpito tutta la comunità scolastica», così il ministro Patrizio Bianchi. Parole certamente condivisibili, ma insufficienti. Non è, infatti e purtroppo, un caso isolato: già altri giovani hanno perso la vita durante l’alternanza, troppi affinché si possa semplicemente parlare di “tragica fatalità”. Saranno gli inquirenti ad accertare se l’azienda nella quale è avvenuta la tragedia avesse o meno rispettato tutte le norme di sicurezza: pare che il ragazzo fosse solo ai macchinari, senza alcun supervisore. I genitori di Giuliano chiedono verità e giustizia e, oltre a fare le nostre condoglianze, non possiamo che associarci a questo appello. Resta comunque inammissibile che un giovane perda la vita in fabbrica durante l’orario scolastico. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo. Dal canto nostro abbiamo sempre incitato ad una maggiore connessione fra scuola e lavoro, ad una più stretta corrispondenza fra formazione e preparazione alla futura vita professionale. Così dovrebbe essere un’alternanza correttamente interpretata: un modo per insegnare agli studenti cosa avviene nei luoghi di lavoro, un momento di formazione sul campo, non certo di lavoro vero e proprio. Perché non è questo il compito dei ragazzi impegnati nello studio e nell’apprendimento. Già dobbiamo ogni giorno lamentare l’assenza di condizioni sufficienti di salute e sicurezza per i lavoratori, come facciamo con la nostra campagna “lavorare per vivere”. Moltissimo c’è ancora da fare per assicurare che i nostri lavoratori possano recarsi nelle fabbriche, nei campi, nei cantieri con la certezza di tornare sani e salvi a casa. Non vogliamo certo doverne impostare un’altra che si chiami “studiare per vivere”. Ai ragazzi devono essere fornite scuole sicure, e già su questo molto ci sarebbe da dire, e, se devono essere impegnati in percorsi di formazione nei luoghi di lavoro, si deve trattare di formazione, appunto, non certo di lavoro, per giunta gratuito e, oltretutto, insicuro. Se i controlli su un rigoroso rispetto delle norme sono necessari per garantire sicurezza ai lavoratori, quelli per assicurare quella degli studenti sono ancora di più imprescindibili. Occorre un impegno serio da parte della politica ed un coinvolgimento delle parti sociali per fare in modo che l’alternanza sia un’attività sicura e non una rischiosa forma di sotto-occupazione e che, come diciamo da anni, il tema della salute e sicurezza sul lavoro sia inserito come materia stabile all’interno dei programmi scolastici, come elemento facente parte a pieno titolo dell’educazione civica. In caso contrario, si abbia il coraggio di mettere fine a questo pericoloso esperimento.