di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Oggi, nella tappa di Milano del tour Ugl “vota per il lavoro”, sulle nostre proposte da mettere a disposizione della politica e della collettività nell’ambito della campagna elettorale in corso, insieme al Segretario confederale Vincenzo Abbrescia e al Segretario di Ugl Milano Riccardo Uberti, abbiamo analizzato un tema troppo spesso sottovalutato nel dibattito pubblico e che invece andrebbe affrontato seriamente una volta per tutte: quello dei salari e degli stipendi dei lavoratori italiani, drammaticamente bassi. Gli italiani in Europa sono agli ultimi posti per retribuzione e crescita del potere d’acquisto dei redditi da lavoro, una situazione dai risvolti sociali ed economici particolarmente negativi e che ora, con la crisi energetica, se non affrontata, non può che peggiorare, generando ulteriore esclusione e povertà. Secondo alcuni una soluzione a questo problema potrebbe essere quella di introdurre un salario minimo legale, con poi ora anche l’imprimatur della Ue, dopo il voto favorevole dell’Europarlamento. Tuttavia anche la stessa Ue non richiede un’applicazione automatica della normativa, specie per i Paesi, come il nostro, caratterizzati da una forte presenza della contrattazione collettiva. Per noi dell’Ugl il salario minimo non risolve il problema. Innanzitutto perché non si va ad intaccare quello che è il primo e fondamentale ostacolo all’aumento dei salari e degli stipendi, come anche dell’occupazione, ossia un’eccessiva tassazione del lavoro. Questo è lo scoglio che impedisce maggiori assunzioni e paghe più alte e non è certo con un minimo salariale legale che questa situazione si può risolvere. Serve un taglio netto e consistente al cuneo fiscale. Qualcosa è stato fatto, ma certamente non abbastanza. In secondo luogo, in Italia attualmente quasi il 90% dei lavoratori dipendenti, quindi la stragrande maggioranza, è inserito nel contesto della contrattazione collettiva, quel sistema che ha garantito diritti e tutele per decenni. Bisogna intervenire su quel 10% di lavoratori scoperti, nelle aree grigie del precariato, delle piccole partite Iva, delle cooperative. Un passaggio generale di tutti i lavoratori, compresi quelli già tutelati, al salario minimo per legge potrebbe avere un effetto boomerang, portando anche le aziende che aderiscono alla contrattazione a limitarsi al salario minimo, con un livellamento verso il basso di retribuzioni e diritti. Serve un approccio diverso, attraverso interventi che, salvaguardando il nostro sistema di contrattazione collettiva, nazionale e di secondo livello, riescano a far crescere concretamente gli introiti che arrivano nelle tasche dei lavoratori, cambiando quindi non quello che funziona, ed anche la Ue ammette che i Paesi nei quali vigono i CCNL hanno «retribuzioni minime più elevate», ma le evidenti criticità che ci sono e che riguardano, sostanzialmente, il peso troppo alto del fisco sul lavoro, che blocca la crescita dei salari ed anche l’occupazione e l’emersione del lavoro nero.