di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Con l’exploit dei Democratici Svedesi, anche nel Paese scandinavo si stanno sgretolando equilibri politici decennali. Bisognerà attendere ancora qualche giorno per conoscere i risultati definitivi delle politiche tenutesi in Svezia domenica scorsa, però è già possibile tirare qualche somma. Finora sono stati scrutinati circa l’85% dei voti e restano da conteggiare i restanti, quelli postali e dall’estero, determinanti per la vittoria in quello che si profila come un testa a testa sul filo del rasoio. Ma, comunque vadano le cose, è innegabile l’affermazione, inedita, dei DS. Inutile, al momento, soffermarsi su punti e decimali delle percentuali, in attesa dello scrutinio definitivo: attualmente sembrerebbe in leggero vantaggio il Centrodestra, ma tutto è ancora da vedere. Resta il fatto che la formazione nazionalista dei Democratici Svedesi, assimilabile alla nostra FdI di cui è alleata nell’Ecr all’Europarlamento, è accreditata a più del 20%, dopo aver ottenuto un exploit di consensi tale da renderla maggioritaria all’interno del più ampio blocco conservatore e seconda in assoluto nel nuovo Parlamento svedese, in uno Stato nel quale era sempre stata marginale. La prima forza di opposizione se nel duello all’ultimo voto dovesse alla fine prevalere il Centrosinistra. Partito guida della maggioranza se, invece, il Centrodestra dovesse vincere. Un evento storico. I Democratici Svedesi, infatti, nel 2002, esattamente vent’anni fa, valevano poco più dell’1% dei consensi. Poi una crescita costante e inarrestabile: entrati in Parlamento solo nel 2010, col 5,7% dei voti, ora sono stati scelti da uno svedese su cinque. In molti si interrogano sulle cause di questo incremento esponenziale dei consensi, chi con preoccupazione e chi con speranza. Sicuramente la gestione del partito è cambiata, per merito del suo leader Jimmie Akesson, che ne ha smussato alcune asperità oltranziste, ma la formazione è rimasta nella sostanza fedele alle proprie idee identitarie e critiche nei confronti della gestione corrente dell’Unione europea. Proprio per questo ha convinto: perché capace di rispondere alle richieste di cambiamento provenienti dalla società svedese. Anch’essa in difficoltà come avviene in tutta Europa. In crisi di fronte alla spinta migratoria, di sempre più difficile gestione sia a livello economico che sociale. Insoddisfatta dalle politiche neo-liberiste europee e mondiali. Non più convinta dal sistema di valori proposto dal cosiddetto “mainstream” progressista, anche a seguito dello scandalo generato dalla scelta della premier uscente Andersson, che, pur di aderire alla Nato, ha deciso di rispedire in Turchia, a proprio rischio e pericolo, gli esuli curdi, mostrando così un volto cinico sotto la maschera del politicamente corretto. Il mondo sta cambiando, i segnali sono sempre più forti.