di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

L’attenzione su valori e volumi, in tema di commercio al dettaglio, non è questione di lana caprina. Succede infatti, secondo i dati diffusi oggi dall’Istat, che nel mese di luglio siano aumentate le vendite sia sul mese, cioè rispetto a giugno 2022 (+1,3%), sia sull’anno, cioè rispetto a luglio 2021, e in quest’ultimo con una crescita più accentuata: +4,2%. Ma, come ha fatto notare Confcommercio, pur nel clima positivo del mese estivo e vacanziero, è accaduto che le vendite al dettaglio siano aumentate in valore (+4,2%) ma non in volume (-0,9%). Il che vuol dire che si spende di più ma si acquista di meno, e per il secondo mese consecutivo, proprio a causa dell’aumento generalizzato dei prezzi. L’inflazione spinge a tagliare i consumi. Taglio che avviene soprattutto per l’acquisto di cibo, come evidenziato da Coldiretti, secondo la cui analisi il caro prezzi spinge gli italiani a ridimensionare del 3,2% gli acquisti, perché costretti a spendere il 3,6% in più a causa del caro prezzi. L’impatto economico di uno shock esterno, come il conflitto in Ucraina, si sta progressivamente estendendo dal gas e materie prime ai prodotti agricoli e alimentari, innescando una spirale inflattiva devastante. Siamo in presenza di un’inflazione da offerta, ovvero i prezzi salgono, perché c’è un’interruzione nella catena di approvvigionamento, e continuando a salire portano a ridimensionare le scelte di famiglie e imprese, sui stanno ricadendo quasi interamente i costi della crisi energetica.
Come contrastare l’avverarsi di un pericoloso corto circuito economico? Secondo l’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, ormai «tutti si aspettano la recessione», il vero problema, semmai, è capire «quanto sarà profonda». Aggiungendo, poi, qualcosa di ancora più interessante: combattere l’inflazione è «fondamentale» ma, se la Bce alzasse i tassi oltre il 2%, «danneggerebbe l’economia». Una considerazione che mi trova assolutamente d’accordo, perché l’obiettivo da perseguire non è solo e soltanto il contrasto dell’inflazione, ma la piena occupazione. Peccato che i membri del comitato direttivo della Bce si sono mostrati più volte pronti – l’ultima delle quali a fine agosto – ad adottare la linea dura per combattere l’inflazione, anche a costo di ripercussioni per l’economia ovvero anche a rischio di una minore crescita e di un aumento della disoccupazione.
Qui, davvero, non ci siamo. In primo luogo, perché le banche centrali devono adempiere pienamente al loro duplice mandato, perseguendo anche l’obiettivo della piena occupazione. In secondo, perché una politica monetaria restrittiva e intransigente rischia di affossare ulteriormente la domanda ripercuotendosi in maniera drammatica sui consumi. Ecco perché anche da parte del governo italiano occorrono politiche economiche espansive mirate a rafforzare il potere d’acquisto dei lavoratori e a stimolare la crescita.
Ma bisogna fare presto!