È scattata stamattina alle 5, ora italiana, la completa interruzione da parte Gazprom delle forniture di gas dalla Russia verso l’Ue tramite il gasdotto Nord Stream. Ufficialmente per consentire le riparazioni all’unica unità di compressione del gas rimasta in funzione e, sempre ufficialmente, lo stop dovrebbe avere una durata di tre giorni. Il condizionale è d’obbligo, è in atto un conflitto, in Italia e in Europa si teme che il 2 settembre Mosca possa continuare a tenere chiuso il gasdotto.
Ricatto o ritardo? Nel primo caso, è pressoché scontato considerate le tensioni tra Ue, quindi Nato, e Russia. Nel secondo, mentre si chiedono interventi doverosi e immediati per evitare una ecatombe occupazionale e industriale, da parte dei partiti politici, delle imprese, dei sindacati – come UGL abbiamo chiesto a livello europeo un tetto comune al prezzo del gas e un nuovo Recovery Fund energetico, al governo in carica un prezzo amministrato dell’energia per il consumatore finale sul modello francese e misure shock anche attraverso uno scostamento di bilancio per sterilizzare i rincari -, continuano ad arrivare dati e proiezioni inquietanti dall’economia reale sugli effetti della crisi energetica. Il governo è alla ricerca di risorse per non scaricare su cittadini e imprese costi insostenibili dell’energia, ma è in difficoltà, fa fatica a “racimolare” 10-12 miliardi di euro e lo vuole fare senza ricorrere allo scostamento di bilancio. Ben poca cifra, a fronte di richieste, come ad esempio quelle della Lega che ha calcolato un intervento di 30 miliardi di euro, o del quotidiano La Verità che oggi ha diffuso calcoli secondo i quali le risorse necessarie, in caso di fissazione di un “prezzo politico” per aziende e consumatori, sarebbero addirittura pari a 120 miliardi di euro. Le difficoltà del governo sono legate anche ai ricorsi di Acea (leggasi tra le righe anche Comune di Roma) e Tamoil, che si sono rivolte al Tar del Lazio per ottenere la sospensione del pagamento degli extraprofitti (tassa pari al 25% degli stessi) e un eventuale ricorso alla Corte Costituzionale. In caso di accoglimento del ricorso, per Draghi quei 10-12 miliardi diventerebbero sempre più un miraggio.
La verità non sta nei pur rilevanti e veritieri “dettagli”, la verità oggi molto probabilmente sta nelle parole del leader di Confindustria. Ha detto oggi Carlo Bonomi, non un sindacalista né un sovranista: «Soprattutto è mancata l’Europa, che non ha avuto una politica industriale ed energetica, oggi finalmente forse vediamo cambiare l’atteggiamento dei singoli Stati membri, ma dobbiamo dire che è più di un anno che lo stiamo dicendo». Nel frattempo, l’Europa ancora pensa ad un “price cup”. Quanto tempo ancora abbiamo?

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL