Tanto tuonò che piovve. E così, l’indomani dell’accordo Letta-Calenda, nel centrosinistra è tutto da rifare. O quasi. Neanche il tempo, per il segretario del Pd, di cantare vittoria nell’intervista al Corriere della Sera – addirittura pregustando voti di centrodestra – che subito è scoppiata la grana Fratoianni. «Se qualcuno pensa che l’agenda programmatica della coalizione sia l’agenda Draghi non ci sarà l’alleanza con Sinistra e Verdi», ha chiarito il segretario di Sinistra Italiana in un’intervista a La Stampa. E quanto all’intesa tra il Pd e Azione, Nicola Fratoianni ha perciò aggiunto: «Ne prendo atto, vincola quelle due forze, ma in nessun modo vincola l’alleanza con Sinistra e Verdi ai temi contenuti di quell’accordo». Un incontro con Letta per rinegoziare i termini di una possibile intesa elettorale (oltretutto dopo aver rifiutato il diritto di tribuna offerto dal Pd) era stato programmato oggi alle 15, ma poi non se ne è fatto più niente, almeno per il momento. Alla luce delle novità emerse nella giornata di ieri – hanno fatto sapere Sinistra e Verdi – ed «essendo cambiate le condizioni su cui abbiamo lavorato in questi giorni, sono in corso riflessioni e valutazioni che necessitano di un tempo ulteriore». Ma il paradosso tocca da vicino anche Azione, al di là delle critiche ricevute da molti sui social per l’accordo raggiunto ieri. E perde un pezzo importante (mentre guadagna l’arrivo di Giusy Versace, ex Forza Italia): Giampiero Falasca, responsabile nazionale Diritto del lavoro del partito di Calenda. «Ho deciso di lasciare Azione perché non condivido la scelta di allearsi con persone e partiti che hanno fatto del populismo la propria bandiera, pur capendone le ragioni. Resta una comunità di belle persone guidata da una persona competente e appassionata», ha annunciato Falasca su Twitter. A Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (leader dei Verdi) ora strizza l’occhio il M5s. «Con le persone serie, che vogliono condividere un’agenda sociale ed ecologica con noi c’è sempre la possibilità di dialogare», ha affermato Giuseppe Conte, aprendo a un possibile dialogo. Stando a quanto riferito dai giornali, Luigi Di Maio con il suo Impegno Civico, al contrario di Fratoianni e Bonelli, starebbe invece valutando il diritto di tribuna offerto dal Pd. Di qui l’affondo di Alessandro Di Battista, su Facebook: «Luigi Di Maio non ha un voto. Chi conosce il fanciullo di oggi, lo evita. Trasformista, disposto a tutto, arrivista, incline al più turpe compromesso pur di stare nei palazzi. Perché il Pd dovrebbe concedergli il diritto di tribuna, un modo politicamente corretto per descrivere il solito paracadute sicuro, tipo la Boschi candidata a Bolzano nel 2018? Perché?». Poi Di Battista ha aggiunto: «Il Di Maio che ricordo io, ai tempi dell’onestà intellettuale o della fraudolenta recitazione, detestava il Pd come null’altro. Oggi, a quanto pare, il suo nome comparirà sotto il simbolo del Pd. Beh, se così fosse vi sarebbe una ragione in più per non votarli e per non avere nulla a che fare con loro».