Alta tensione nell’Europa dell’Est, situazione critica tra Serbia e Kosovo
Tutto è iniziato per una questione “burocratica”: il governo kosovaro, dopo anni nel quale era stato consentito, ora ha vietato l’utilizzo di carte d’identità serbe ed automobili con targa serba nel proprio territorio, imponendo ai possessori di rettificare i documenti entro il prossimo primo settembre, dopo una proroga temporale per calmare gli animi. La decisione ha scatenato le proteste degli abitanti delle regioni settentrionali del Kosovo, in maggioranza di etnia serba, che hanno considerato la decisione come un tentativo di discriminazione ed assimilazione forzata. Violente manifestazioni e blocchi stradali da parte dei dimostranti, con poi la decisione delle autorità kosovare di chiudere i valichi di Jarinje e Bernjak, di collegamento con la Serbia. Pattugliamenti delle strade da parte della Forza per il Kosovo a guida Nato (Kfor) e movimenti di truppe dalla parte Serba del confine, con notizie frammentate in un rimpallo di responsabilità per le tensioni crescenti in atto. La questione ha riaccentuato gli attriti, mai sopiti, fra Pristina e Belgrado, con la Serbia in difesa dei manifestanti, ricordando che il Paese slavo non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, ritenendolo parte del proprio territorio. Il presidente serbo Vucic ha affermato: «i serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic». L’Europa, attraverso le parole dell’alto rappresentante Borrell, ha caldeggiato una normalizzazione delle relazioni fra Kosovo e Serbia, mentre la Russia ha chiesto «a Pristina, agli Stati Uniti e all’Unione Europea di fermare le provocazioni e di rispettare i diritti dei serbi in Kosovo». Una situazione fin troppo simile a quella del Donbass, finita con lo scontro armato tra Russia e Ucraina.