Ancora una consistente differenza generazionale fra le retribuzioni dei lavoratori
di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Un’inchiesta del Sole 24 Ore illustra lo scostamento che esiste ancora oggi, anche se con una tendenza in leggera diminuzione, tra le retribuzioni dei lavoratori più anziani, gli over 54, e quelle dei giovani occupati under 30. Una differenza notevole, che ammonta al 39%, in quello che può essere definito, come avviene nell’articolo, un “generation pay gap”, ovvero un divario retributivo generazionale, da affiancare, nelle considerazioni sul mondo del lavoro, al più noto “gender pay gap” fra uomini e donne. Una retribuzione più bassa di 44 euro al giorno, non certo poco, specie nel contesto dell’impennata dei prezzi e dei costi delle utenze. Un divario dovuto a vari fattori. Naturalmente una parte della differenza deriva dal fatto che i salari di ingresso sono più contenuti ed aumentano all’aumentare degli “scatti di anzianità”. Ma la questione non è certamente tutta qui: per spiegare le ragioni di uno scostamento così consistente bisogna considerare anche il fatto che il lavoro dei giovani è, come spesso ripetiamo, meno stabile e strutturato. I giovani lavorano meno rispetto agli occupati più in là con gli anni: 183 giorni pro capite contro 245, il 26% in meno, con ovvie ripercussioni sugli stipendi. Meno ore di lavoro, a volte per scelta di maggiore flessibilità da parte degli stessi lavoratori, ma molto spesso a causa di minori opportunità di lavoro, tra part-time involontario, lavoro a tempo determinato o stagionale, apprendistato. Una differenza oraria che si traduce in minori entrate, con una retribuzione media annua degli under-30 ferma a 12.238 euro, inferiore di circa 14mila euro rispetto alla media dei lavoratori anziani e più bassa rispetto a quella dei pari età della gran parte dei Paesi Ue assimilabili al nostro. Stipendi e salari bassi, meno contributi e quindi in prospettiva pensioni più esigue, minori consumi, meno indipendenza economica e possibilità di creare una famiglia. Problemi che mostrano in sintesi un mondo del lavoro ingessato, nel quale le posizioni migliori restano occupate dalle generazioni precedenti. Anche se è aumentato il livello di occupazione degli under-35, il problema della quantità – e qualità – del lavoro dei giovani è tutt’altro che risolto. Una questione complessa, che andrebbe affrontata con interventi su vari fronti: da quello previdenziale, per sbloccare il turn-over riformando la Fornero, a quello fiscale rendendo le assunzioni meno onerose e riducendo il cuneo, dal mondo della scuola fino a politiche industriali e di sviluppo capaci di consentire una vera ripresa.

Bonus o lavoro?
L’ultima trovata della sinistra: riproporre la patrimoniale, stavolta per offrire ai giovani una “mancia” al compimento del 18esimo anno d’età. Poco chiara la cornice della proposta: la soglia di reddito per essere considerati abbastanza ricchi da venir tassati ed anche quella richiesta ai ragazzi per poter avere la dote. Data l’ostilità verso l’idea della riduzione dell’Iva sui beni essenziali, difficile pensare a un esborso anche per i ragazzi delle famiglie più abbienti. Una proposta sull’onda della politica dei bonus, mentre ai giovani, e non solo, servono riforme strutturali.