Pil Usa negativo per il II trimestre consecutivo. Recessione alle porte? Dai quotidiani americani a quelli di tutto il mondo rimbalza un sospetto e si «amplifica la paura»

C’è un problema. È vero, oggi dall’Ue e dal Mef, sono arrivati segnali incoraggianti, pur nella grande difficoltà del momento, in termini di crescita per l’Italia. Ma il segnale che arriva dagli Usa lascia presagire ben altro: il calo del Pil per il II trimestre consecutivo «amplifica la paura di una recessione», ha scritto oggi il New York Times. La parola che al momento fa più paura è rimbalzata su tutti i quotidiani americani. È da più parti riconosciuto che si entra in recessione se l’economia si contrae per due trimestri consecutivi, mentre una condizione piena di recessione si verifica quando l’economia di una nazione subisce una fase di contrazione per un periodo superiore ai sei mesi. Per ora si parla soltanto di pericolo per diverse ragioni, la prima, tra tutte, è che si sta pur sempre parlando della più importante potenza economica mondiale e, in quanto tale, capace di trascinare dietro o, peggio, giù con sé le altre. La seconda ragione, più politica, è l’insistenza del presidente, Joe Biden, nel rifiutare anche soltanto l’ipotesi recessione, sostenendo che il Pil negativo è frutto del rialzo dei tassi di interesse. Rifiuto che, per le stesse ragioni di prima, fa comodo ad altri sistemi economici e politici, l’UE in primis, condividere. Si ammette, come fa anche il Washington Post, che «per molti aspetti, l’economia è in un territorio inesplorato. L’unica volta che ci sono stati sei mesi di contrazione senza una recessione – riporta l’Agi – sembra essere stato nel 1947», sottolinea il giornale, che cita Tara Sinclair, professore di economia alla George Washington University. Che lo sia tecnicamente o meno, recessione, il quadro delineato è davvero preoccupante: inflazione ai massimi di 40 anni da diversi mesi, indebolimento delle vendite di case, difficoltà per alcuni settori imprenditoriali, tra cui i fondamentali tecnologia e finanza, la guerra in Ucraina e gli aumenti dei tassi di interesse decisi dalle banche centrali di molti Paesi, partendo proprio dagli Stati Uniti. La recessione o l’ingresso in recessione non è questione di lana caprina, perché ha prima di tutto dei risvolti politici su un presidente, Joe Biden, la cui immagine è già molto appannata. Il NYT, ragionando sulle conseguenze politiche del pil Usa, scrive «a Washington si è cominciato a discutere se una recessione sia in corso e se la colpa sia del presidente Biden». Negli Stati Uniti il termine “recessione” è più simile ad una parolaccia che ad un’asettica definizione economica, ma, come si scrive sui giornali, tra la popolazione preoccupa molto di più un altro termine, inflazione, e quindi l’aumento dei prezzi, che si fa sempre più fatica a sostenere. Proprio come in Europa e in Italia.