di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Di pochi giorni fa la polemica scaturita da una battuta della giornalista di La 7 Concita De Gregorio, che, commentando la crisi di governo, aveva paragonato la figura del Premier Draghi, pesce fuor d’acqua tra classe politica italiana, ad un professore di Harvard catapultato in una cattedra dell’alberghiero di Massa Lubrense. Come a dire “dalle stelle alle stalle”. In molti sono rimasti giustamente allibiti nel constatare lo snobismo della giornalista, la solita esterofilia, il trito anti-meridionalismo, così come nel veder espressa in modo così chiaro la scarsa affezione nei confronti della democrazia a suffragio universale, ovvero quel sistema di cui diciamo di andar fieri perché permette a tutti – non ai “migliori”, non ai nobili, non ai più ricchi, ma neanche esclusivamente ai più istruiti, competenti e beneducati – di votare ed essere votati, ed in questo consiste la sua stessa essenza, da contrapporre ad un passato oscurantista di governo degli “ottimati”. Il nocciolo della “questione Concita”, però, non si limita a questo. In realtà quella battuta, pronunciata forse in modo inconsapevole, ha svelato una mentalità molto diffusa nel Paese, secondo la quale gli istituti professionali sono la serie cadetta nel mondo dell’istruzione. Questa concezione spinge ancora oggi molti giovani a cercare di compiere la propria ascesa personale e professionale puntando su percorsi di formazione considerati più blasonati, come i licei, mentre gli istituti tecnici vengono percepiti come luoghi di ritrovo per studenti meno volenterosi, sui banchi solo perché in attesa di compiere il percorso di studi obbligatorio. Questa visione piuttosto antiquata sta generando danni sia personali che collettivi: da un lato molti ragazzi, diplomati ed anche laureati, non riescono a trovare sbocchi occupazionali soddisfacenti, dall’altro tante aziende continuano ad essere in affannosa ricerca di tecnici specializzati, lasciando scoperte anche posizioni stabili e ben retribuite. Occorre, lo diciamo spesso, una maggiore osmosi fra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Il che certamente non significa impedire a chi lo desideri e sia particolarmente portato di avere una formazione umanistica in favore di un esasperato tecnicismo. Significa, invece, oltrepassare finalmente l’ossessione del “pezzo di carta” a tutti i costi. Comprendendo che ogni percorso formativo ha una sua nobiltà, se eseguito con passione e impegno, che è migliore, per sé e per il Paese, una buona preparazione tecnica rispetto ad una laurea stentata e, infine, che non necessariamente occorre lavorare dietro una scrivania per essere considerati cittadini di serie A. Il tanto “vituperato” Parlamento ha compreso la questione dando il via libera ad una riforma degli Istituti tecnici superiori, ora Istituti tecnologici superiori. Anche il mondo della cultura, compreso quello di sinistra, così attento alle parole, agli articoli ed alle desinenze politicamente corrette, dovrebbe fare la propria parte, contribuendo ad un cambiamento della mentalità collettiva.