di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Sono tante le analisi sulla crisi politica che sta portando il Paese alle elezioni anticipate. Tra queste, troppo poche riguardano il Partito Democratico, che nel dibattito al Senato è rimasto defilato, tessendo la tela, ma lasciando agli altri, forse più ingenui, le luci della ribalta. Ormai lo sappiamo, all’interno di quel partito, nato dalle spoglie del fu Pci, non è rimasto niente dell’antica anima rivoluzionaria e idealista, con l’obiettivo dell’emancipazione delle classi più deboli. Al suo posto c’è ormai tutt’altra cosa, anzi, meglio, l’esatto contrario di quello che c’era un tempo: ovvero uno spirito da “eminenza grigia” pacata e defilata nei modi, sempre e comunque dalla parte dell’establishment nella sostanza. Del resto il muro è caduto ed il mondo è cambiato ormai da decenni. Anzi, ora si prefigurano nuove trasformazioni. Quello che invece si sta notando in modo evidente in particolare negli ultimi tempi è la straordinaria capacità del Pd, non tanto e non solo solo di auto-conservare se stesso, cosa anche comprensibile e perfino degna di una certa ammirazione per la capacità di restare saldamente al potere nonostante avvitamenti ideologici e ripetute e cocenti sconfitte elettorali, ma anche e soprattutto di disintegrare chiunque dall’esterno si avvicini un po’ troppo ai Dem. Sarà una superstizione, ma pare che il Pd agli alleati non porti troppo bene. Di qui la fatica nel trovare gruppi con cui fare fronte comune, un “campo non troppo stretto”: tempo pochi mesi e il sodale, chiunque esso sia, viene vaporizzato. L’esempio lampante è rappresentato dalla fine ingloriosa del Movimento 5 stelle, passato, nel breve lasso di tempo dell’alleanza coi Dem, da oltre il 30% dei consensi al 10, dicono gli ottimisti, tra fughe individuali e scissioni di gruppo. Forse il fatto più eclatante, ma anche il meno significativo, data la struttura evanescente che la formazione di Grillo aveva sin dall’inizio. Lo stesso effetto, a pensarci bene, si potrebbe però riscontrare in molti altri casi: risalgono alla notte dei tempi le alleanze con l’Italia dei Valori o i Radicali italiani, formazioni ormai scomparse dalla scena politica e passate alla storia. Restano piccolissimi agglomerati, legati alla personalità dei singoli, +Europa, i centristi di Tabacci, Speranza di Leu. Difficili i rapporti persino con altri partiti nati all’interno dello stesso Pd, come quello dell’ex segretario Renzi o di Calenda, forse così titubanti nel rientrare dal campo Dem proprio per spirito di sopravvivenza. Fu determinante l’appoggio a Monti ai fini della sparizione dai radar del consenso popolare della sua formazione moderata Scelta Civica. Ed ora l’idea dei progressisti di considerare cosa propria “l’agenda Draghi” in vista delle prossime elezioni potrebbe perfino far disamorare gli italiani nei confronti della finora prestigiosa figura super partes dell’ex governatore della Bce, ancora Premier per gli affari correnti. A conti fatti, meglio evitare di avvicinarsi troppo, questione di scaramanzia.