di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Ieri, in una convulsa sessione parlamentare, si è consumata la fine del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Un Esecutivo nato all’inizio dello scorso anno per affrontare insieme le emergenze atto nel Paese, tra pandemia, piano vaccinale e necessità di adempiere alle azioni necessarie per partecipare al programma europeo di ricostruzione economica. Un momento di coesione fra le forze politiche che forse, con uno spirito maggiormente collaborativo, specie da parte di alcuni, sarebbe potuto durare qualche mese in più, ma che comunque era per sua stessa natura destinato ad essere temporaneo, per poi lasciare il posto alla consueta alternanza democratica. Anche a causa della necessità di sanare un vulnus profondo, quello costituito dalla ormai insufficiente corrispondenza fra il Parlamento eletto nel 2018 e la situazione attuale all’interno dei partiti e nell’elettorato. Nonostante le differenti opinioni sulle responsabilità nella crisi di governo e sull’opportunità o meno di tornare alle urne, cosa che dovrebbe avvenire a breve, comunque la si pensi, almeno su un aspetto della questione non ci può essere che unanimità di giudizio: ora bisogna guardare al futuro dell’Italia, per non perdere di vista le priorità del Paese, specie, poi, in un frangente particolarmente complesso come quello che stiamo vivendo. È necessario fare presto, per avere di nuovo una situazione politica chiara ed un Governo solido che possa guidare il Paese in questi mesi decisivi, tra Legge di Bilancio ed attuazione del Pnrr, inflazione e questione energetica, problemi nazionali e tensioni internazionali. Dal nostro punto di vista sindacale, sarà importante che si riesca il prima possibile a mettere in campo misure in grado di riattivare il mercato del lavoro e tutelare il potere d’acquisto delle famiglie. Partendo da una consistente riduzione del carico fiscale sui lavoratori e recuperando la centralità della contrattazione collettiva, rinnovando ed estendendo i contratti, piuttosto che puntando su un salario minimo di Stato non adeguato al sistema di relazioni industriali italiano. Ascoltando il mondo del lavoro, gli attori sociali, i sindacati e le imprese. Senza dimenticare, in una visione più ampia, adeguate politiche industriali, energetiche, infrastrutturali e fiscali che salvaguardino la produzione nazionale e siano finalizzate alla ripresa economica nel segno dell’inclusione sociale. Comprendendo, quindi, anche l’importanza di garantire una maggiore flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e magari realizzando, finalmente, la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Punti fermi, da presentare a chiunque sarà, speriamo nel minor tempo possibile, alla guida del Paese dopo l’attuale momento di transizione politica.