Draghi accenna ai rinnovi contrattuali, ma per Ugl e Cisl serve la partecipazione

L’inflazione galoppante di questi mesi sta amplificando un problema storico del nostro Paese, quello della scarsa tenuta degli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici. Un tema al quale ha accennato anche il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, nel suo intervento in Senato, dove ha parlato della necessità di rinnovare i contratti collettivi e di valutare l’introduzione del salario minimo legale pet contrastare il lavoro povero. Come evidenziato nella ricerca Censis-Ugl pubblicata alla vigilia del 1° maggio, gli stipendi in Italia si sono ridotti in termini reali già prima della recente fiammata dell’inflazione. Una situazione che, evidentemente, non si può risolvere soltanto con il rinnovo dei contratti collettivi, soprattutto se il carovita dovesse continuare a mordere per parecchio tempo ancora. Sia i sindacati che le associazioni datoriali guardano con interesse ad un intervento sul cuneo fiscale, che causa una erosione significativa del potere d’acquisto. Guardando però all’estero, in particolare alla Germania, soprattutto l’Ugl e la Cisl insistono da tempo sulla partecipazione dei lavoratori come strumento per valorizzare le scelte strategiche, anche in un’ottica di incremento della produttività con effetti positivi direttamente sulle retribuzioni. Una proposta che non piace, per ragioni diverse, a Cgil e Confindustria, ma che ritorna spesso nei rinnovi contrattuali.