14 luglio 2022: un giovedì “di fuoco” per il governo Draghi. Si voterà in Senato sul dl aiuti e il M5s potrebbe non farlo. Il premier Mario Draghi, che in queste ore sta mediando, sarebbe davanti ad un bivio

Giovedì di fuoco. Così si prospetta, almeno per adesso, il 14 luglio 2022 in Senato. Una pura coincidenza che sia anche l’anniversario della Presa della Bastiglia, ma con il M5s tutto può essere e accadere. Quando cioè si voterà in Senato sul dl aiuti. ll presidente del Consiglio, Mario Draghi, descritto come a un passo da lasciare l’esecutivo, in queste ore starebbe cercando il modo, anche attraverso il colloquio con i sindacati, di evitare il peggio. D’altronde, come ha ricordato il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, ci sono i soldi europei, il Pnrr, da non perdere e c’è fare la legge di bilancio, nonché la legge elettorale; come a dire che di tempo da perdere non ce n’è e che, per lui, il governo Draghi può andare lo stesso avanti, anche senza i pentastellati. Nonostante ciò, e stando alle cronache, il M5s, pur avendo dato venerdì alla Camera la fiducia al dl Aiuti, approvato ieri, non dovrebbe farlo al Senato, non partecipando al voto. «Io mi metto nei panni di un cittadino normale – ha detto il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca – non ho capito niente di quello che stanno facendo», «mettersi a dibattere per settimane intere su questioni di lana caprina, mi pare davvero un atto di totale irresponsabilità». In effetti, il governo è impegnato a preparare un nuovo decreto-legge a sostegno delle imprese e delle famiglie, oltre al dl aiuti c’è anche il ddl concorrenza, con il famigerato articolo 10 sui Taxi. Ma il Parlamento si è diviso per giorni, oltre a tutto il resto, anche su cannabis e ius scholae. Non dando così proprio l’impressione di voler salvare il salvabile, semmai di voler mandare tutto “in fumo”.
Saranno pure «questioni di lana caprina», come sostiene De Luca, ma intanto Mario Draghi è davanti a un bivio, visto che la sua stessa condizione per continuare a lavorare resta invariata: tutte le forze politiche, che hanno sottoscritto il patto di unità nazionale, devono mantenere l’appoggio all’esecutivo. Anche il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, tra i più vicini nel Pd alle tesi del M5s, ha ammesso che il non voto dei pentastellati sarebbe un problema per il governo, per questo il Pd ha invitato il M5s a non strappare, ma, giustamente, Berlusconi, con l’avallo della Lega, ha chiesto una verifica di maggioranza.
Dunque, come se ne esce fuori? Secondo i quotidiani di oggi, “più accreditati”, con una apertura di Palazzo Chigi a Giuseppe Conte soltanto sui temi sociali. Ovvero: no a scostamenti di bilancio, sì a salario minimo, Reddito di Cittadinanza, cuneo fiscale, rinnovi contrattuali. Richieste – e pretese, diciamolo – che non spettano solo del M5s e qualcun altro peseranno.
Non è escluso che, dopo la prova di giovedì 14 luglio, il governo possa andare avanti, attraverso una “exit strategy”: far dire di sì ai vertici pentastellati a palazzo Madama, lasciando che poi un gruppo di senatori non entri nell’emiciclo. Ma non senza lacerazioni.