Stop previsto dall’11 al 21 luglio. Garofoli parla di rischio di «crisi energetica gravissima»

Come preannunciato dalla stessa Gazprom qualche giorno fa, a partire da oggi le forniture di gas verso l’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream subiranno uno stop di dieci giorni. Uno stop, spiega la società, necessario per eseguire lavori di manutenzione ordinaria e che secondo il Cremlino è una diretta conseguenza delle sanzioni occidentali, che avevano impedito ad una turbina in riparazione in Canada di ripartire alla volta del gasdotto. Commentando lo stop alle forniture, la Commissione europea in un tweet ha scritto che «Putin continua a usare l’energia come un’arma» e che «dodici Paesi dell’Ue sono già direttamente interessati», mentre il portavoce della Commissione Tim McPhie ha assicurato che «l’Ue si sta preparando ad ogni scenario». «La situazione è chiaramente seria – ha detto McPhie – e dobbiamo essere preparati. A metà luglio, come è noto, verrà varato un piano di prevenzione in vista dell’inverno». Intanto cresce il timore che la Russia possa non riaprire i rubinetti al termine dei dieci giorni di manutenzioni, come paventato sia dal vicecancelliere tedesco Robert Habeck sia dal ministro francese Bruno Le Maire. Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, ENI ha reso noto che Gazprom oggi, 11 luglio, «fornirà a ENI volumi di gas pari a circa 21 milioni di metri cubi/giorno, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi», mettendo così il freno a mano all’immagazzinamento per l’inverno. Secondo il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, che ha parlato di rischio di una «crisi energetica gravissima», l’Italia ha accumulato uno stoccaggio pari a 16 miliardi di metri cubi di gas, contro i 70 miliardi che il paese consuma. «Dobbiamo arrivare al 90% prima che inizi l’autunno», ha quindi avvertito Garofoli. Se il livello di allerta dovesse salire, stando a La Repubblica, il governo avrebbe in previsione di razionare il gas alle industrie energivore e di aumentare la produzione di energia delle sei centrali a carbone presenti sul territorio nazionale. Tra le possibili mosse anche un’austerity dei consumi, che vedrebbe tagli di un paio di gradi ai riscaldamenti di abitazioni e uffici e orari ridotti all’illuminazione pubblica.