di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Un’era sta per concludersi. Il mondo intero è in subbuglio e, complici le accelerazioni determinate dalla pandemia prima e dalla guerra in Ucraina poi, sono esplose tutte le criticità che già erano ampiamente presenti in un modello, quello della globalizzazione neoliberista, che era diventato dominante dagli anni ‘90 in poi e che ora, i segnali sono tanti e significativi, sembra prossimo alla propria fine. Un progetto, nato sul panfilo Britannia, come ho ricordato oggi in un’intervista su L’Identità, che, a dirla tutta, a noi non è mai piaciuto. In questi trent’anni, dal 1992, quando si incontrarono su quello yacht importanti attori politici ed economici italiani ed internazionali, compreso l’attuale premier Draghi, ad oggi, 2022, l’Italia ha, infatti, perso terreno dal punto di vista economico a seguito di scelte che hanno portato alla destrutturazione sia della capacità produttiva che del mantenimento all’interno del Paese degli asset strategici nazionali. Nello stesso tempo, dal punto di vista sociale quelle scelte si sono tradotte per le generazioni più giovani in precarietà e sotto occupazione e in una mancata crescita di stipendi e salari per tutti. Quel modello, in sintesi, per come è stato tradotto nel nostro Paese, non ha certo giovato all’Italia. La fine di una stagione infausta per il Paese non può, quindi, che generare speranza, nonostante il frangente difficilissimo che stiamo attraversando in questo momento di crisi e transizione. Non possiamo che auspicare un cambiamento, purché, stavolta, sia nel segno della crescita, dell’inclusione sociale e della riconquista dell’autonomia nazionale nei settori strategici, recuperando il ruolo dello Stato, come stanno facendo altri importanti Paesi. Provando ad avere una visione nuova anche nell’ambito delle relazioni industriali. Se il periodo precedente, quello dal dopoguerra agli anni Novanta, nel quale erano ancora dominanti le produzioni nazionali, è stato contrassegnato dalle rivendicazioni di classe, se il trentennio del globalismo è stato un momento di crisi delle associazioni rappresentative dei lavoratori, specie di quelle ancorate a schemi vecchi e inadatti alla contemporaneità, l’epoca nuova che sta nascendo dovrebbe basarsi su idee diverse, antiche, ma sempre attuali, specialmente nel contesto odierno di una maggiore osmosi fra lavoro dipendente e autonomo: quelle della collaborazione fra capitale e lavoro nell’ottica dell’interesse nazionale, in sintesi quelle della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Idee che, nell’ottica generale di un superamento della globalizzazione neoliberista e del recupero della produzione nazionale, possono più di tutte conciliare competitività e rispetto dei diritti, non solo civili, ma anche sociali e lavorativi, crescita della produzione e della – buona – occupazione. Il mondo sta cambiando e ci auguriamo che, stavolta, l’Italia sappia cogliere al meglio le opportunità offerte da questa nuova era. Adesso o mai più.