Lungi dal voler incorrere in “dietrologismi” assai facili a posteriori, sulla tragedia della Marmolada e sugli effetti nefasti che la siccità sta generando su agricoltura e allevamenti e nelle nostre metropoli, si possono fare ragionamenti di buon senso, senza scadere nell’ambientalismo “glam” di Greta Tumberg. Che per il disastro della Marmolada il problema sia stato, prima di tutto, il clima e quei “maledetti” dieci gradi in più in cima alla montagna, lo hanno capito tutti. Per un super esperto come Reinhold Messner non si può addossare la colpa allo Stato o al (meritorio) soccorso alpino che, secondo alcuni, forse alla ricerca di un colpevole “politicamente spendibile”, avrebbero dovuto imporre divieti di salita o di discesa. Gli alpinisti esperti, come erano alcune delle vittime, sanno cos’è la montagna e sanno di andare incontro all’imprevisto; sono alla ricerca del pericolo, non certo della morte, e studiano, o almeno dovrebbero, tutto nei minimi dettagli prima di lanciarsi in un’avventura. Allora? Al primo posto c’è sempre la cultura della sicurezza, che ognuno dovrebbe coltivare da sé senza delegarla allo Stato. Poi, più tecnicamente, ha ragione anche chi chiede di restituire alla Protezione Civile, fortemente ridimensionata dalla riforma del 2018, ispirata da un “caso politico”, rivelatosi poi un flop in sede processuale, tutti i suoi precedenti poteri.
Secondo Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid, intervistato oggi dal quotidiano La Repubblica, tutti gli eventi drammatici, dagli incendi agli eventi atmosferici violenti, passando per la siccità, dimostrano che alla Protezione civile occorrono maggiori poteri e responsabilità. Oggi, neanche la dichiarazione dello stato di emergenza, può conferire alla stessa Protezione civile armi sufficienti a prevenire e a contrastare eventi sempre più violenti. Se il momento preciso del crollo della Marmolada non era prevedibile – poteva verificarsi anche in inverno -, stessa cosa non si può dire né dell’emergenza rifiuti a Roma né della siccità, che persiste da mesi e che non poteva non acuirsi in un’estate, ampiamente prevista, dalle temperature eccezionali. La delibera di ieri del Consiglio dei ministri sulla dichiarazione dello stato di emergenza, fino al 31 dicembre 2022, in relazione al deficit idrico in alcuni territori d’Italia, non solo è arrivata “un po’” in ritardo ma rischia di non dare risposte in termini strutturali. Più utile può essere il Pnrr, insieme ad altri indispensabili interventi normativi che, ad esempio, potrebbero rendere possibile una tecnica come la desalinizzazione, di cui solo ultimamente si parla molto, per rendere potabile l’acqua del mare.
In definitiva, l’ambiente si tutela prima di tutto con la cultura della sicurezza e della prevenzione, nonché dell’organizzazione.

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL