Su molti quotidiani odierni si è scritto di una «nuova Francia», «populista» e «arrabbiata», in seguito all’esito del secondo turno delle elezioni legislative, dal quale il Rassemblement national di Marine Le Pen è uscito vincitore con la conquista di 89 seggi, dagli 8 del 2017.
Si tratta di una svolta assolutamente eclatante che persino i detrattori delle destre e, in generale, del cosiddetto populismo – che corrisponde, per l’establishment a tutto ciò che, da destra fino a sinistra, non coincide con il paradigma politico imperante a Bruxelles – non possono fare a meno di definire storica, «inaudita». Tale risultato «senza precedenti», oltre all’exploit del Rassemblement national, ha visto la vittoria della coalizione di sinistra Nupes e dei suoi alleati, guidata da Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise, con la conquista di 137 seggi, primo partito di opposizione, altrettanto ostile a Emmanuel Macron. Almeno fino ad oggi. Il Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, con 245 seggi è stato pesantemente sconfitto, avendo perso quella maggioranza assoluta (stabilita a 289 seggi su 577), sulla quale ha potuto contare per cinque anni.
Va evidenziato anche che sia Le Pen sia Mélenchon hanno fatto campagna elettorale su due temi fondamentali: riduzione dell’età pensionabile e aumento del potere di acquisto degli stipendi. Vi ricorda qualcosa del passato e anche del presente? Assolutamente sì.
Spetta ora a Macron trovare nuove e, per molti versi, quasi impossibili alleanze, ma la lettura più evidente del momento storico, che la Francia sta vivendo, dimostra, prima di tutto, che ha vinto la politica, quella vera, quella delle idee o, meglio ancora, delle ideologie che, dopo la caduta del muro di Berlino, si ritenevano o si volevano per forza decretare defunte. Con Macron sono stati sconfitti un sistema elettorale che fino all’altro ieri garantiva governabilità, gli esperimenti politici di laboratorio, cioè quei partiti costruiti artificialmente e posti ad un ipotetico centro, né di destra né di sinistra, nati nei palazzi istituzionali. Un monito, severo e evidente, anche per l’Italia.
Ha vinto, quindi, la politica vera, quella che ha una visione dell’economia rivolta alle persone e non alle élites finanziarie, cioè quella «Populeconomy» vicina alla vita reale, che affronta cambiamenti e problemi sociali con parole semplici, che legge i fatti in maniera diversa e che trova soluzioni alternative a quelle di Bruxelles, cioè a quel mondo evanescente incontrollato dei poteri forti e della globalizzazione, che, “grazie” alla pandemia e al conflitto in Ucraina, sta mostrando tutta la sua pericolosità e debolezza.

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL