Accordo sulla direttiva UE, ora il salario minimo si trasforma in un ‘referendum’. La misura non prevede obbligo, ma stabilisce i criteri. Orlando: “Un assist per i lavoratori”. Il centrodestra più cauto: “Necessario tagliare le tasse”

Si passa dai toni quasi trionfalistici del centrosinistra – che, come scrive il Giornale, «fa ritrovare l’amore tra Conte e Letta» –, a quelli decisamente più prudenti del centrodestra. Fatto sta che l’accordo raggiunto sulla direttiva UE per il salario minimo alimenta un dibattito che, nel nostro paese, era già stato motivo di divisioni, nella maggioranza di governo e all’interno dello stesso esecutivo. Ma procediamo con ordine. Nella notte è stato annunciato il raggiungimento, appunto, di un accordo tra Consiglio, Parlamento europeo e Commissione in materia di salario minimo dopo oltre un anno di negoziati. La misura non prevede un obbligo in questo senso – «Non imporremo un salario minimo all’Italia», ha spiegato infatti in conferenza stampa a Strasburgo il commissario europeo al Lavoro, Nicolas Schmit –, ma stabilisce il perimetro entro cui i singoli paesi dell’UE potranno muoversi. In altre parole il provvedimento mira a promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e livelli adeguati di salari minimi legali, punta a migliorare l’accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo per tutti i lavoratori e stabilisce la presentazione di relazioni sulla copertura e l’adeguatezza dei salari minimi da parte degli Stati membri. La copertura della contrattazione collettiva, in particolare, viene fissata intorno all’80%: chi oggi resta al di sotto di tale soglia viene invitato a elaborare un piano per promuovere la contrattazione con modalità che coinvolgano le parti sociali. Un quadro che però non dovrebbe riguardarci in quanto la percentuale è già raggiunta. In ogni caso, secondo il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, la decisione rappresenta «un assist per i lavoratori», ma dal centrodestra si fa notare – da giorni – che per rilanciare il lavoro e contrastare quello povero sono altre le priorità, misure più incisive e strutturali. Alcune delle quali l’UGL ha evidenziato nelle ultime settimane, alla luce delle sopraggiunte incertezze economiche: la necessità di rafforzare il potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori attuando il diritto ad una retribuzione equa come sancito dall’art. 36 della Costituzione, attraverso misure specifiche quali il taglio del cuneo fiscale (che garantirebbe maggiori risorse in busta paga) e il rinnovo dei contratti collettivi con una detassazione totale della quota di aumento. Ma è chiaro che ora l’accordo sulla direttiva UE – l’Italia è peraltro uno dei sei paesi UE senza salario minimo –, si trasformerà in una questione soprattutto politica, una sorta di “referendum” sul tema. Per il M5s «è un passo avanti fondamentale» per cui «la nostra proposta è pronta per essere votata»; per la leader di FdI, Giorgia Meloni, è «un’arma di distrazione di massa». Tra i più critici il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta (FI): «Va contro la nostra storia di relazioni industriali. Il salario deve corrispondere alla produttività».