di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

È successo qualcosa di simile col reddito di cittadinanza: un’idea teoricamente giusta, ma che, tradotta da concetto astratto in misura concreta, non ha prodotto i risultati sperati, ossia un sostegno per i bisognosi corredato da politiche attive per un rapido inserimento nel mondo del lavoro dei disoccupati. Ora, col salario minimo, caldeggiato dall’Ue, ma anche, non a caso, dagli stessi che in Italia sostenevano a spada tratta l’attuale modello di RdC, il rischio è analogo. Non certo perché non ci sia un problema di stipendi medi troppo bassi, sappiamo bene che è così e che siamo agli ultimi posti fra i Paesi industrializzati per crescita dei salari, che negli ultimi anni è anzi stata negativa. In ambito Ocse, l’Italia è l’unico Stato nel quale i salari sono diminuiti, -3% negli ultimi trent’anni, mentre altrove sono cresciuti, dal 6% della Spagna al 34% della Germania. Il problema c’è, quindi, eccome. Ma con un salario minimo mal strutturato si rischia di ottenere l’effetto opposto rispetto a quello desiderato. Il motivo è semplice: se l’idea dovesse passare, anziché contrastare quella zona grigia di sotto-occupazione che pure esiste e potrebbe con tutta probabilità sfociare nel lavoro nero tout court – e servirebbero maggiori controlli ad evitare questo, come, appunto, sarebbero serviti per evitare assegnazioni indebite del reddito di cittadinanza, controlli che come sappiamo sono stati insufficienti e nulla lascia presagire che nel caso in questione le cose sarebbero diverse – il minimo per legge potrebbe spingere le aziende che sono attualmente irregimentate all’interno del sistema della contrattazione collettiva, quelle che impiegano, in Italia, circa l’88% dei lavoratori dipendenti, ad abbandonare questo modello, che nel nostro Paese ha garantito diritti e tutele a costo di anni di lotte sindacali, ed orientarsi verso il minimo per legge, più basso. Con un vero e proprio effetto boomerang sulle retribuzioni e sui diritti dei lavoratori. Basterebbe, a quel punto, applicare il salario minimo per essere in regola con la legge ed eventuali trattamenti migliori potrebbero essere stabiliti in accordi individuali, indebolendo completamente il sistema di relazioni industriali dal lato dei lavoratori dipendenti. Questo è il rischio concretissimo che si potrebbe correre con l’introduzione di un salario minimo stabilito per legge, ancor di più nell’attuale frangente di crisi economica, di rincari delle utenze e dei costi dell’energia, che potrebbero spingere molte aziende a risparmiare sul costo del lavoro. Noi, per migliorare concretamente e tangibilmente le condizioni dei dipendenti italiani, per vedere effetti reali sul potere d’acquisto dei redditi da lavoro, chiediamo interventi non su ciò che funziona – il sistema della contrattazione collettiva, che come dice anche la stessa Ue permette ai Paesi che la applicano di avere «retribuzioni minime più elevate» – ma su ciò che non va: tasse sul lavoro troppo alte, uno scarto insostenibile fra retribuzione lorda e netta, un cuneo fiscale penalizzante che blocca occupazione, emersione del lavoro irregolare, crescita dei salari.