Il dibattito sul salario minimo distoglie l’attenzione dai contratti di lavoro scaduti

Si annuncia una estate molto calda sul versante delle relazioni fra le parti sociali e fra queste e il governo. L’aumento dell’inflazione, dopo lunghi anni di incrementi molto contenuti, ha finito per scoperchiare il vaso di Pandora degli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici del nostro Paese, evidenziando una cosa, peraltro nota da tempo, vale a dire lo scarso potere d’acquisto degli stessi dovuto al pesante del costo del lavoro e alla scarsa produttività di larga parte delle aziende nazionali. Anche questo fine settimana è quindi vissuto sulla grande contraddizione fra chi, come i numeri uno di Cisl e Ugl, Sbarra e Capone, insiste sulla riduzione del cuneo fiscale e sul potenziamento della contrattazione collettiva e chi, come il leader della Cgil, Landini, non esclude interventi di legge sul versante del salario e della rappresentanza. Pure una parte della politica, in particolare il Movimento 5 Stelle e delle componenti del Partito democratico, in queste ore, ha insistito su di una rapida approvazione di una legge sul salario minimo, finendo così per sottovalutare una questione evidenziata sempre da Sbarra e Capone: i ritardi nei rinnovi dei contratti collettivi di lavoro. Negli anni, il forte carattere innovativo della riforma della contrattazione collettiva sulla triennalità dei rinnovi è andato scemando, a causa pure dell’atteggiamento dilatorio di alcune componenti di Confindustria.