Petrolio, cosa cambia con l’embargo alla Russia. Gli effetti della guerra e delle sanzioni potrebbero accelerare la transizione energetica, ma l’utilizzo di combustibili fossili resta ad oggi centrale e con effetti a catena sull’economia

Questa mattina i prezzi del petrolio a livello internazionale sono risultati in rialzo dopo la volatilità osservata nella giornata di ieri, che si era aperta con un’impennata per poi chiudere in calo. E c’è già il primo effetto sulle tasche dei cittadini dopo il via libera europeo all’embargo sul petrolio russo e le quotazioni del greggio in salita: il rincaro dei carburanti. Il taglio delle accise, in vigore fino a luglio, fin qui non è stato abbastanza. Diventa perciò «molto probabile» un ulteriore intervento del governo sulle accise, come ha anticipato la sottosegretaria all’economia Maria Cecilia Guerra a Mattina 24 su Rainews 24: «Banalmente l’aumento dei prezzi fa anche aumentare il gettito dell’Iva, che non vogliamo mettere nelle casse dello Stato, ma lo utilizziamo per abbassare le accise e tenere calmierato il prezzo». Ma la questione “petrolio” non si limita a questo e racchiude altri aspetti, politici e ambientali, confermando, nonostante il progressivo cambio di paradigma e al netto delle (seppur fondamentali) intenzioni di transizione energetica, la centralità, ancora, dell’oro nero. L’ok al sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca nell’ambito della guerra in Ucraina, comprensivo, appunto, dello stop alla maggior parte delle importazioni di petrolio dalla Russia (all’incirca il 90% entro la fine dell’anno, stando alla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen), è giunto a seguito di un confronto aspro e fino all’ultimo non ha convinto allo stesso modo tutti i partner europei, ognuno secondo i propri, legittimi interessi. Alla fine l’ha spuntata l’Ungheria di Viktor Orbàn (con Slovacchia e Repubblica Ceca) che avrebbe perso molto da un embargo totale, ottenendo così la possibilità di vedersi applicata un’esenzione per il petrolio importato tramite oleodotto (in altre parole l’embargo ora riguarda solo le importazioni via mare). La deroga per gli oleodotti dovrebbe essere temporanea, quanto necessario per Budapest di prepararsi a diversificare le forniture di greggio, ma non è stato posto un limite preciso. Ad ogni modo dove porterà la decisione di embargo, almeno nel breve periodo, è un rebus, considerate le raffinerie – anche italiane, ad esempio è il caso di Priolo – che tra non molto si ritroveranno senza petrolio russo, con possibili ricadute occupazionali. La guerra in Ucraina, insomma, con le sue più evidenti conseguenze, rappresenta un inevitabile momento di svolta in termini di politiche energetiche, accelerando processi in direzione più “green”. La Commissione europea ha presentato il piano REPowerEU, i cui punti salienti riguardano risparmio, diversificazione degli approvvigionamenti e accelerazione della transizione verso le fonti rinnovabili, più una serie di obiettivi volti a migliorare l’efficienza (anche il recente accordo con gli Stati Uniti sulle forniture di gas naturale liquefatto prevede un aiuto sulla transizione energetica in Europa). L’aspetto non più rinviabile, dunque, è come arginare il rischio di crisi a fronte di un utilizzo di combustibili fossili – e tra questi il petrolio – che resta centrale e con effetti a catena sull’economia.