Sono (quasi) più condivisibili le parole espresse oggi dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, rispetto a quelle del ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Quest’ultimo, partendo dal giusto presupposto che «bisogna adeguare i salari italiani all’inflazione», insiste tuttavia sul salario minimo. Per quel che ci riguarda – e pur apprezzando l’idea del ministro di indicare a monte della misura un accordo tra imprese e sindacati – l’unico modo efficace per adeguare i salari all’inflazione è, prima di tutto, rinnovare i contratti di lavoro nazionali, adeguandoli all’inflazione con l’obiettivo di sostenere i redditi e contrastare il fenomeno del progressivo impoverimento dei lavoratori. Non basta però, serve anche una non più rinviabile – lo dimostrano dati e fatti – riduzione del cuneo fiscale sul lavoro.
Il problema più urgente non è “solo” l’inflazione, pur preoccupante, ma il rischio di una recessione e, per questo, non è più tempo per i provvedimenti spot. La politica dei bonus, dei sussidi a pioggia e delle mance elettorali ha fallito. Misure come il Reddito di Cittadinanza non hanno abolito la povertà e si sono rivelate un incentivo formidabile al lavoro nero. Ben vengano, invece, proposte come la “Flat tax” per i giovani lanciata ieri dal presidente di Assolombarda, Alessandro Spada, e fondata su una vera e cogente prospettiva, quella di incentivare le assunzioni e riattivare il mercato del lavoro. Ben venga anche quanto sostenuto dal Governatore di Bankitalia e cioè che un adeguato flusso di risorse private, fornito dal sistema finanziario e da affiancare a quelle pubbliche, può sostenere gli investimenti necessari per uno sviluppo equilibrato e duraturo del Paese. In secondo luogo, che la politica monetaria potrebbe assicurare la stabilità dei prezzi nel medio termine, «preservando l’ancoraggio delle aspettative d’inflazione e contrastando vane rincorse tra prezzi e salari». Rincorse che, però, più che vane sarebbero già in ritardo: secondo le previsioni dello stesso Visco, infatti, le quotazioni di mercato e quindi i prezzi di petrolio e cereali resterebbero molto elevati nel 2022, diminuendo solo di poco nei prossimi due anni.
Dunque, l’acuirsi della guerra in Ucraina e i rincari delle bollette (80 miliardi di euro solo per le imprese), impongono interventi strutturali come l’utilizzo di fonti alternative (gas naturale e nucleare di nuova generazione) e la riforma della Pubblica Amministrazione, diretta a sburocratizzare la macchina amministrativa per sbloccare i cantieri e consentire la messa a terra delle opere pubbliche previste dal Pnrr.
Tutto questo si può realizzare convocando al più presto un tavolo fra governo e parti sociali per la sottoscrizione di un patto sociale per il lavoro e lo sviluppo volto a contrastare la minaccia della recessione e a proteggere i lavoratori dall’impatto dell’inflazione.

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL