Pochi, tranne i “soliti” addetti ai lavori che lanciano allarmi da decenni, lo avrebbero immaginato. Cioè che, una volta raggiunti un sufficiente grado di gestione della pandemia e un riavvio quasi normale delle attività economiche, si potesse correre il rischio di mandare in fumo la ripresa per mancanza di lavoratrici e lavoratori, non più disposti al tutto per poco, e di adeguate retribuzioni. Invece sta accadendo e, in parte, al netto del Reddito di Cittadinanza: dalla ristorazione alla pub-blica amministrazione, fino al trasporto aereo. Per quest’ultimo, secondo quanto rivelato da un’analisi effettuata dal Corriere della Sera (pubblicata ieri “Estate 2022: tanti passeggeri, poco personale…”), la bella stagione in Europa potrebbe trasformarsi in un “mancato boom” per la ca-renza di piloti e di assistenti di volo nelle compagnie aeree, del personale di terra e degli addetti alla sicurezza negli aeroporti. Si parla di un possibile annullamento di 114 mila voli, che andrebbe ad impattare sulle vacanze di oltre 17 milioni di persone. Attraverso l’incrocio del numero di bi-glietti venduti (oltre 260 milioni di sedili, pari al -12% del 2019) e della flotta a disposizione e del personale impiegato dalle compagnie aeree, dagli aeroporti e dagli handler, mancano all’appello almeno 26-30 mila persone. Effetto, da un lato, della pandemia, che ha «costretto» le società a li-cenziare fino al 45% della forza lavoro, e, dall’altro, della ripresa dei viaggi, molto più veloce del previsto. Ma è da prima della pandemia che nel trasporto aereo si fa un poderoso ricorso ai licen-ziamenti per riorganizzazioni e contrasto di crisi iniziate dal lontano 11 settembre 2001, la peg-giore del settore superata soltanto dalla pandemia.
Il punto però non sono soltanto le crisi, ma il fatto che, dal trionfo del liberismo in poi, quando cioè è arrivato anche nelle istituzioni pubbliche, il lavoro e i lavoratori sono stati considerati le voci più sacrificabili in un bilancio sia privato sia pubblico. Ora i nodi stanno venendo tutti al pet-tine e lo si legge chiaramente sui quotidiani di oggi. Ad esempio, nell’intervista al Commissario Ue, Nicholas Schmit, che su La Stampa avvisa: «Io credo che si debba tenere la dinamica dei sala-ri vicino all’aumento dei prezzi così da non deprimere la domanda globale», perché adesso l’inflazione non ha nulla a che vedere con i salari. Peccato che in Italia questa dinamica è saltata già da un decennio e si è mantenuta anche con bassi livelli di inflazione. Anche Ilvo Diamanti su “la Repubblica” ci ricorda e ci conferma che l’Italia «è un Paese “diseguale”» e particolarmente segnato dallo squilibrio delle differenze di reddito. A ciò si è aggiunto il fenomeno dei concorsi pubblici disertati al Nord perché, pur proponendo posti fissi, offrono stipendi inadeguati al costo della vita. Tutto questo accade perché i conti, fino ad oggi, sono stati fatti e si continuano a fare senza l’oste, cioè senza il lavoro e i lavorat

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL