di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

La guerra ha rallentato, o per meglio dire messo in naftalina, ogni progetto di riforma del sistema previdenziale. Eppure, pur comprendendo le gravi emergenze internazionali, l’attenzione incentrata sull’evoluzione del conflitto, le ripercussioni economiche a partire dalla questione energia, si tratta di un tema troppo importante per essere evitato a lungo, anche perché il tempo stringe e mancano pochi mesi alla stesura della legge di bilancio, che dovrebbe occuparsi anche di cosa accadrà sul fronte previdenziale nel prossimo anno, quando di terminerà Quota 102, misura temporanea introdotta dal governo Draghi. È necessario riaprire il confronto tra parti sociali ed Esecutivo, riprendere da dove il dibattito si è fermato lo scorso febbraio, disegnando un quadro chiaro e duraturo per dare certezze ai lavoratori in merito a quando e come potranno andare in pensione, impostando una riforma strutturata. L’Europa è piuttosto critica nei confronti di una revisione della Fornero, mandata in soffitta durante gli ultimi anni, tra quota 100 e 102. Nel Country Report sull’Italia si è parlato della spesa per la previdenza «destinata ad aumentare», anche a seguito del processo di invecchiamento e spopolamento in atto nel Paese, giudicando in senso negativo le deroghe adottate per favorire una maggiore flessibilità in uscita, comprese quelle di Opzione donna e per i lavoratori vulnerabili. Quello che Bruxelles dovrebbe comprendere è che, al contrario, è proprio il sistema rigido impostato con la Fornero a creare effetti negativi a breve e lungo termine, con il blocco del turn over generazionale, a danno di lavoratori ed imprese, impantanando l’intero sistema, escludendo i giovani dal mondo del lavoro e dalle occupazioni stabili, con effetti anche dal punto di vista demografico. Inoltre, per quanto riguarda la sostenibilità economica della flessibilità in uscita, come evidenziato dall’INPS, attualmente il sistema appare saldo in quanto sono stati risparmiati 1,1 miliardi di euro di assegni previdenziali nel 2020 a causa dell’innalzamento della mortalità per effetto della pandemia. Per tutte queste ragioni chiediamo un incontro al presidente Draghi: al contrario di quanto sostenuto dai fautori dell’austerity pensionistica, italiani e comunitari, la flessibilità in uscita, in particolare dal nostro punto di vista quota 41, ovvero 41 anni di contributi per poter andare in pensione, indipendentemente dall’età anagrafica, resta l’unica soluzione positiva, non solo dal punto di vista sociale, ma anche di complessiva tenuta economica. Tornare alla Fornero tout court significherebbe mettere in atto una vera e propria macelleria sociale, in nome dei vincoli di bilancio o dei ‘diktat’ di Bruxelles, che si aggiungerebbe alle già presenti difficoltà economiche, tra post Covid e guerra in Ucraina.