di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Tra le raccomandazioni europee per l’Italia, come sappiamo, c’è la richiesta di una revisione del catasto e delle concessioni balneari, indicazioni che stanno suscitando polemiche e divisioni. In molti, fra cui noi dell’Ugl, temono che una riforma del catasto possa nei fatti tradursi in una vera e propria imposta patrimoniale a carico degli italiani, tassa che andrebbe a gravare non tanto sui grandi capitali, quanto sulla classe media del Paese, su coloro che, già messi in difficoltà dalla crisi, hanno la casa come unico bene rifugio. Per non parlare poi dell’eventualità, da evitare per ragioni di equità e giustizia sociale, di una tassazione sulla prima casa. Stesse preoccupazioni per la questione spiagge, per risolvere la quale sarebbe necessario trovare un accordo di buon senso che tuteli le istanze dei lavoratori e delle imprese balneari, un comparto di fondamentale importanza per la promozione del turismo e la salvaguardia del patrimonio paesaggistico del nostro Paese. Riconoscendo un diritto di prelazione in favore dei piccoli imprenditori titolari di interessi legittimi, a garanzia degli investimenti effettuati in questi anni, per scongiurare il rischio, concreto, di una svendita delle spiagge italiane alle multinazionali del settore, con un danno economico enorme per il Paese e ricadute drammatiche sotto il profilo occupazionale. Detto ciò, nel pacchetto di primavera della Commissione Ue si caldeggia per l’Italia anche una riduzione delle tasse sul lavoro, che, ricordiamo, sono fra le più alte fra quelle dei Paesi industrializzati. Il cuneo fiscale – ovvero la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro per avere un dipendente e, al netto di imposte e contributi pagati da entrambi, quanto viene poi percepito dal lavoratore – da noi ammonta al 46,5%, con dati riferiti al 2021. Una percentuale che fa dell’Italia il quinto fra i 38 Stati Ocse per tasse sul lavoro, il secondo per contributi a carico del datore di lavoro, come attestato dal rapporto ‘Taxing Wages’ della stessa organizzazione. Qualcosa è stato fatto negli ultimi tempi, ma decisamente troppo poco: il peso delle tasse sul lavoro è diminuito, infatti, solo dello 0,4% nel confronto 2020/2021. Allora l’idea, o se vogliamo la provocazione, potrebbe essere la seguente: stavolta, se vogliamo attuare delle riforme perché “ce lo chiede l’Europa”, partiamo proprio dal cuneo fiscale. Iniziamo da qui, prima di pensare ad altro. In passato, ad esempio, quando si trattò di riformare il lavoro in senso flessibile, il famoso “secondo pilastro”, quello degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive, si fece parecchio attendere, tant’è che lo troviamo in agenda ancora oggi. Partiamo dal cuneo, che porterebbe benefici in termini occupazionali, economici, sociali. Scegliendo nel modo giusto tra un’Europa dell’austerity e delle tasse e un’Europa sociale.