Lo denuncia Amnesty International in un rapporto che conta «almeno 579 esecuzioni in 18 stati»

Nel 2021 c’è stato un preoccupante aumento delle esecuzioni e delle condanne a morte in alcuni degli stati già più prolifici, i cui tribunali hanno ripreso a funzionare a pieno regime con la fine delle restrizioni dovute alla pandemia». Lo denuncia Amnesty International, diffondendo il Rapporto sulla pena di morte 2021. L’anno scorso, Amnesty International ha registrato «almeno 579 esecuzioni in 18 stati», perlopiù in Iran – almeno 314 condanne a morte per reati di droga, «una evidente violazione del diritto internazionale che proibisce l’uso della pena di morte per reati diversi dall’omicidio intenzionale» –, che ha contribuito moltissimo all’aumento (+20% rispetto al 2020). Si tratta sicuramente di un dato sottostimato: il report non tiene conto del numero di esecuzioni in Cina, Vietnam, Corea del Nord. Paesi che, ha ricordato Amnesty International, «hanno proseguito a tenere segreto l’uso della pena di morte ma, come sempre, quel poco che abbiamo visto ha suscitato grande allarme». In alcuni Paesi, la pena di morte è stata utilizzata come «strumento di repressione contro le minoranze e i manifestanti unita a un profondo disprezzo per le garanzie e le limitazioni previste dal diritto internazionale». Amnesty International cita esplicitamente il Myanmar, l’Iran, l’Egitto e l’Arabia Saudita.