di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Sembrerebbe quasi assodata la sospensione del patto di stabilità anche per tutto il prossimo anno, almeno queste sarebbero le intenzioni della Commissione europea, in attesa della riunione dei ministri delle Finanze dei Paesi membri, durante la quale dovrebbe essere ufficialmente presentata la proposta, assieme al pacchetto di primavera per il semestre europeo. Una buona notizia, se confermata. Una decisione sensata che, però, non esenta dall’esercitare un sacrosanto diritto-dovere di critica. La vecchia Europa, o meglio, i dogmi economici, sociali e politici che hanno regnato sovrani a Bruxelles per un paio di decenni, causando danni dei quali paghiamo oggi abbondantemente le conseguenze, è ormai inesorabilmente sul viale del tramonto. Finalmente. Anche se, per abbattere un muro ideologico che sembrava inscalfibile, quello del neoliberismo e dell’austerity sociale, ci sono volute una pandemia ed una guerra sul suolo europeo. Due tsunami dalle conseguenze devastanti per l’intero pianeta, per far capire che c’era bisogno di un’Unione diversa, come l’Ugl ed altri “eretici” come noi dicevano da anni, non per disamore verso il concetto di Europa, tutt’altro: per rendere realmente l’Unione forte e coesa. Capace di mantenere la propria identità culturale, di rinvigorire e non penalizzare, grazie all’impegno comune degli Stati membri, crescita, benessere e sicurezza nel segno di quel Modello Sociale che era stato per decenni un fiore all’occhiello capace di distinguere in positivo il nostro continente. Le vicende degli ultimi anni ci hanno dimostrato che il rigore non va abbandonato, ma riversato su altre priorità, ben più significative. Ricercando una stabilità vera e concreta, basata su una maggiore autonomia in grado di garantire alla cittadinanza una dose costante di sicurezza e benessere al di là delle contingenze e delle crisi. Ad esempio puntando sull’autosufficienza nella produzione dei beni necessari, da quelli energetici a quelli agroalimentari, fino a quelli sanitari. Per evitare di dover affrontare di nuovo gli effetti della dipendenza dall’estero in tempi di pandemia dai dispositivi di protezione e dai vaccini prodotti altrove, come oggi dalle materie prime provenienti dalle zone ora in guerra, Russia e Ucraina. Assicurando un approccio condiviso nella difesa dei confini, per affrontare ogni tipo di minaccia esterna, da quella proveniente da potenze straniere a quella causata dall’ondata di migrazioni economiche illegali. Stabilendo un minimo comune denominatore sociale, in termini di sanità, scuola, previdenza, assistenza, servizi e welfare, quello sì da rispettare rigorosamente. Per forza di cose questi concetti, tra l’altro vera linfa delle cosiddette idee “sovraniste”, ora si stanno facendo largo. Avremmo certamente preferito che accadesse in modo meno drammatico, ma solo sull’onda del semplice buonsenso.