di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

È stato proficuo l’incontro avvenuto oggi tra tutte le sigle sindacali confederali, dall’Ugl alla Cgil, con il leader della Lega, Matteo Salvini, e il responsabile del Dipartimento Lavoro, Claudio Durigon. In questa occasione, l’UGL ha potuto ribadire un punto essenziale: rimettere al centro dell’agenda politica il lavoro e i lavoratori, partendo da una riforma ormai ineludibile: il fisco.
Occorre agire, simultaneamente, sia riducendo il costo del lavoro sia costruendo un argine più efficace di quello eretto, in parte, dal Governo contro l’aumento vertiginoso dell’inflazione. Come diversi indicatori economici continuano a evidenziare, il costo della vita è ben lontano dal raffreddarsi. Diventa, quindi, ancora più urgente agire attraverso il taglio del cuneo fiscale a vantaggio di lavoratori e imprese per rafforzare il potere d’acquisto delle famiglie e favorire i consumi e, allo stesso tempo, sostenere le attività dalle imprese. Perché un’organizzazione si preoccupa di un sostegno all’attività delle imprese? Perché l’Ugl è un’organizzazione sindacale che non ha una visione conflittuale del rapporto tra capitale e lavoro. Da quest’ultimo punto di vista, preoccupano i dati della Commissione europea, che ha previsto un aumento della disoccupazione nel nostro Paese al 9,5%, con un taglio della crescita degli occupati nel 2022 pari allo 0,6%. Se da un lato il mercato del lavoro sta entrando con forza nella nuova crisi innescata dalla guerra in Ucraina, da un altro pesano fattori storici a cominciare dello stesso a cominciare dal disallineamento fra le competenze richieste dalle imprese e quelle effettivamente disponibili. Un fenomeno, quello del ‘mismatch’ fra domanda e offerta di lavoro, che nel nostro Paese si traduce inevitabilmente in una perdita di competitività del sistema produttivo.
Lavoro e impresa sono, evidentemente, vasi comunicanti, dato di fatto dal quale sarebbe miope prescindere. Ecco perché, per l’UGL è necessario rivedere una misura fallimentare, quale si è rivelata essere il Reddito di Cittadinanza, che, come incentivo all’occupazione, ha funzionato a vantaggio del lavoro nero. Il lavoro si difende e si rafforza con le politiche attive, con la formazione continua, con la contrattazione collettiva e attraverso i corpi intermedi – tutto ciò abbiamo ribadito – e proprio per questo siamo contrari ad una legge sul salario minimo orario, perché, esattamente come per l’effetto “perverso” innescato dal Reddito di Cittadinanza, rischia di provocare un allineamento al ribasso dei salari. Se, infine, fosse concreta l’intenzione del Governo e della maggioranza politica, che lo sostiene, di dare uno slancio e di rinnovare le relazioni sindacali, si può fare realizzando finalmente uno strumento di comprovata democrazia economica, quale si è rivelato essere in Paesi più avanzati del nostro come la Germania, sancito nell’articolo 46 della Costituzione: la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.