di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

La questione demografica, da alcuni fin troppo sottovalutata, torna ad imporsi con la forza dei numeri. I dati Istat sono impressionanti: se le cose non cambieranno, nel 2050, e non manca poi molto, l’Italia avrà 5 milioni di abitanti in meno. Il problema non sarà solo quantitativo, ma riguarderà anche la composizione anagrafica della popolazione, con una minima parte di under-20, che sarebbero solo il 16% del totale, con una grossa fetta di persone in età avanzata e pensionati, il 32%, e solo il 52% della popolazione, circa la metà, in età da lavoro, dovendo quindi provvedere alle risorse per il mantenimento dell’altra metà. La quantità di nascite annue previste, sempre nel 2050, è inferiore alle 298mila. Una prospettiva economicamente e socialmente insostenibile, oltre che scoraggiante per chi abbia a cuore il futuro dell’Italia. Se ne è parlato negli Stati Generali della Natalità, convention tenutasi a Roma in questi giorni e promossa dalla Fondazione per la Natalità. Emblematiche le parole del Papa, nel saluto ai partecipanti all’evento, che ha sintetizzato efficacemente lo stato dei fatti: “Il tema della natalità rappresenta una vera e propria emergenza sociale. Non è immediatamente percepibile, come altri problemi che occupano la cronaca, ma è molto urgente: nascono sempre meno bambini e questo significa impoverire il futuro di tutti; l’Italia, l’Europa e l’Occidente si stanno impoverendo di avvenire”. Sullo stesso tono anche il Presidente della Repubblica Mattarella, che ha ribadito l’esigenza di favorire la famiglia “come prescrive l’art.31 della Costituzione”. Un problema, quello del calo costante delle nascite, spesso sottostimato perché meno visibile in termini di conseguenze socio-economiche, ma in realtà grave e concretissimo. E allora, se invertire la tendenza è possibile, se “si può fare”, come recita il titolo della due giorni degli Stati Generali, come bisogna intervenire, passando dalla teoria alla pratica? Le risposte sono sempre le stesse: un cambiamento innanzitutto culturale capace di far comprendere chiaramente l’importanza della questione ad opinione pubblica, cittadini, imprese. Poi politiche e servizi sociali rafforzati, maggiore impegno per la conciliazione tra vita privata e professionale, incentivando le aziende a mettere in atto un’organizzazione del lavoro family friendly, riorganizzazione della “vita delle città”, in termini di orari di apertura delle attività pubbliche, organizzazione dei trasporti ed altro, per venire maggiormente incontro alle esigenze della società contemporanea, lavoro di qualità per i giovani, ovvero coloro che dovrebbero mettere in cantiere un progetto di famiglia e spesso non possono farlo non avendo sicurezza e stabilità lavorativa ed economica. Si può fare, nel complessivo percorso di rinnovamento del Paese, ma bisogna intervenire presto e bene.