di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

La stagione appena iniziata, finalmente senza le restrizioni anti-Covid, dopo mesi di sacrifici per cercare di tenere a bada il virus, lascia presagire buone opportunità per il settore del turismo, nonostante il fatto che alla crisi pandemica sia subito, purtroppo, seguita quella energetica, oltre all’insicurezza dovuta al conflitto in Ucraina. Eppure, nonostante le nubi fosche ad est, la filiera del turismo, dai trasporti all’accoglienza, dall’enogastronomia alla cultura, che tanto ha patito in questi due anni, potrebbe tornare ai livelli pre-Covid, con tutto ciò che questo comporterebbe, in positivo, per il Paese in termini economici ed occupazionali. Sappiamo che le aziende dei vari settori connessi al turismo avranno bisogno di personale e ciò che dobbiamo evitare è da un lato che questa occasione di ripresa, per le aziende e per le persone in cerca di lavoro, vada sprecata, dall’altro che le imprese, specie quelle piccole e medie, in difficoltà per gli eventi degli anni scorsi, preoccupate per i venti di guerra e gli aumenti delle utenze, scelgano di non assumere o peggio di rifugiarsi nel lavoro nero, con gravi danni per i dipendenti, non protetti né tutelati, e per lo Stato. Inutile pensare che l’aumento dell’occupazione regolare ci sarà comunque, rebus sic stantibus, se gli oneri continueranno ad essere eccessivi. Sarebbe un esercizio di pura retorica, del tutto sganciato dalla realtà. Al momento il dato è quello di un tasso di disoccupazione di poco meno del 10% e, per contraltare, della mancanza di circa 390mila figure professionali per i servizi di alloggio, ristorazione e turismo, certificata da Unioncamere e Anpal. Per bar e ristoranti servono 194mila lavoratori per tornare ai livelli del 2019. Secondo Fipe-Confcommercio nel corso del 2020 sono stati persi 244mila posti di lavoro e “solo” 50mila sono stati quelli recuperati nel 2021. Una riflessione finalizzata a far incontrare domanda ed offerta, in modo adeguato e tale da veder rispettati interessi e diritti di entrambe le parti, sarebbe doverosa. Per questo non va affatto scartata l’idea di ripensare all’introduzione dei voucher, uno strumento che, se ben congegnato, potrebbe rendere l’assunzione non eccessivamente onerosa da un lato e regolare dall’altro, in modo pragmatico e realmente finalizzato alla concreta tutela dei lavoratori italiani, nell’obiettivo di una complessiva ripresa dell’economia. Garantendo opportunità di lavoro, sicuro e certificato, alternativa senz’altro preferibile all’irregolarità o alla disoccupazione. Nel complesso l’Ugl vorrebbe una visione improntata sulle politiche attive, che punti all’aumento dell’occupazione piuttosto che sull’assistenzialismo fine a se stesso. Anche modificando radicalmente uno strumento come il reddito di cittadinanza, che era stato pensato come supporto momentaneo di aiuto e che invece si è rivelato, così come strutturato, un incentivo all’inattività o al lavoro nero. Bisogna cambiare radicalmente un’impostazione sbagliata: l’Italia può rinascere solo con il lavoro.