Uno studio della Fudan University di Shangai sostiene l’efficacia della strategia. Di diverso avviso, l’Oms: «È insostenibile, considerando il comportamento del virus»

Circa 1,55 milioni di morti. Questo il “costo” che la Cina dovrebbe sostenere, se decidesse di abbandonare la strategia zero-Covid, adottata nell’agosto del 2021 e che prevede misure restrittive molto stringenti, fino al lockdown generale anche in presenza di una manciata di casi di infezione in metropoli abitate da milioni di persone. A stimarlo è uno studio realizzato da Hongjie Yu, della Fudan University di Shanghai, e pubblicato su “Nature Medicine”, proprio nelle ore in cui l’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, ha bocciato la strategia zero-Covid cinese, definendola «insostenibile». «Quando parliamo riguardo alla strategia zero Covid, noi non pensiamo che sia sostenibile, considerando il comportamento del virus ora e quello che ci aspettiamo in futuro», ha detto il direttore generale dell’Oms, Tedros, Adhanom Ghebreyesus, in una conferenza stampa a Ginevra. «Abbiamo discusso di questo problema con esperti cinesi e abbiamo dato loro questa indicazione», ha aggiunto. L’analisi della Fudan University ne evidenzia invece i benefici: oltre ai decessi, allentando le misure restrittive, a risentirne sarebbe anche il sistema ospedaliero cinese. La domanda per le unità di terapia intensiva, ICU, potrebbe essere fino a 15,6 volte superiore la capacità esistente. Lo studio considera diversi scenari. In quello base, dove la stragrande maggioranza della popolazione è vaccinata con la dose di richiamo e le autorità non impongono test di massa e restrizioni alla mobilità, la diffusione della variante Omicron, più contagiosa rispetto le precedenti, può generare una pressione difficilmente sostenibile dal sistema sanitario, con 5,1 milioni di ricoveri ospedalieri, 2,7 milioni di ricoveri in terapia intensiva e, nell’arco di sei mesi, fino a settembre 2022, 1,55 milioni di morti, il 74,7% dei quali è rappresentata dalle persone non vaccinate di età pari (o superiore) a 60 anni. Dallo studio emerge anche che nessuna di queste tre strategie, adottate singolarmente – allargamento della platea delle persone vaccinate, includendo gli over 60 senza vaccino, terapie antivirali, NPI potenziati (con l’acronimo NPI si indicano gli interventi non farmaceutici: test di massa, limitazioni alla libertà di movimento…) – potrebbe ridurre il bilancio delle vittime o l’incremento insostenibile della domanda di terapie intensive. Soltanto un loro mix potrebbe garantire qualche risultato.