Gli effetti del lavoro da remoto, del part time involontario e della gig economy

Il lavoro che cambia, quasi sempre in peggio, come evidenziato nel Rapporto Censis-Ugl, si alimenta anche di alcune nuove tendenze. Una di queste è quella del lavorare in remote. Negli ultimi due anni, «lo smart working è diventato realtà di massa, tecnicamente praticabile, ancora di salvezza nel cuore della crisi pandemica e concreta, nuova modalità di organizzazione aziendale e del lavoro». Si parla più correttamente di lavoro da remoto, in quanto, durante la pandemia, è stato svolto in maniera non strutturata, come invece accade per il lavoro agile. Comunque sia, oltre la metà dei lavoratori concorda sul fatto che si è davanti ad una realtà che «modifica radicalmente i contesti e il rapporto soggettivo con il lavoro». Non mancano, comunque, le criticità, dalla dilatazione del tempo di lavoro allo stress, passando per la «relazionalità amputata o alterata con colleghi e gruppi di lavoro» e fino ad arrivare a forme di mobbing. Altro fenomeno in crescita è quello del part time involontario, con una crescita di quasi quindici punti percentuali nel periodo 2010-2020, con effetti diretti sulla svalorizzazione del lavoro. Un terzo fattore di tendenza è rappresentato dalla cosiddetta gig economy, vale a dire il lavorare per le piattaforme digitali. Nel periodo 2020-2021, i lavoratori delle piattaforme sono stati oltre 570mila. Quasi la metà di questi lavora esclusivamente o principalmente grazie al collegamento con una app. Si tratta soprattutto di rider (36,2%), ma non solo visto quasi il 35% presta altre attività online.