Il lavoro ha perso la sua centralità, cosa che alimenta un forte disincanto

Una delle cose che emergono con sempre maggiore chiarezza, e che il Rapporto Censis-Ugl certifica, è che la svalorizzazione del lavoro pesa sulle persone. La perdita della centralità del lavoro ha ricadute sia in termini individuali che con riferimento alla società. Vi è in particolare una questione. «In questi anni i lavoratori hanno dovuto fare sforzi rilevanti per adattarsi ai cambiamenti, a volte repentini e profondi, viste la trasformazione digitale e le nuove tecnologie inserite nei vari settori». Tale sforzo, però, non sempre è stato riconosciuto, cosa che sta alimentando «un pericoloso sentiment che poi nel medio-lungo periodo alimenterà il disincanto e la propensione a fare le cose controvoglia». In quest’ottica, assume quindi un particolare rilievo anche il fenomeno che vede molte persone, soprattutto giovani, ritirarsi volontariamente dal lavoro, avendo esso «perso forza attrattiva e capacità di catalizzare gli investimenti individuali». In altri termini, se, in passato, la persona si realizzava e si identifica nel lavoro svolto, tanto che, spesso, dopo il nome si diceva quale era la propria professione, oggi «emerge un distacco psicologico, emotivo, di minore riconoscimento dell’importanza del lavoro che, anche nella percezione soggettiva, viene sempre più ridotto a puro strumento per procacciarsi reddito». La gratificazione passa quindi dai consumi, dall’utilizzo del tempo libero, dagli hobby curati, dalla rete di relazioni personali. Il lavoro diventa uno strumento per fare altro.