di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

A ridosso del primo maggio, l’Ugl, assieme al Censis, ha presentato il Rapporto “Tra nuove disuguaglianze e lavoro che cambia: quel che attende i lavoratori”, un’analisi delle tendenze in atto per riconoscere, comprendere ed affrontare i problemi del mondo del lavoro. Un modo concreto di celebrare la prossima festa dei lavoratori, con poi anche un secondo evento a livello europeo – “Together for the Europe of work” – che si terrà nella giornata di domenica presso il Rond-point Robert Schuman a Bruxelles. La prima esposizione al pubblico dei dati raccolti dal Censis, curata dal ricercatore Daniele Ferretti, è stata un’occasione di dialogo fra il nostro sindacato, che ho avuto l’onore di rappresentare, e l’istituto di ricerca, nella persona del presidente De Rita, il tutto moderato da Veronica Gentili. Ne è emerso un quadro preoccupante, che non deve, però, essere motivo di scoraggiamento, ma al contrario di stimolo per cercare soluzioni efficaci. In sintesi, la gran parte dei lavoratori italiani, circa il 64% stando alle rilevazioni, non è soddisfatta del proprio lavoro, innanzitutto sul fronte salariale. E come dar loro torto, se nel decennio 2010-2020 le retribuzioni lorde sono diminuite dell’8,3%, mentre nel resto dei Paesi più avanzati sono cresciute. Salari bassi, sotto-occupazione, molto part-time, anche involontario, crescita esponenziale delle diseguaglianze fra gli stipendi dei dirigenti e quelli di operai e impiegati, lavori a termine e precari, soprattutto per le nuove generazioni. Un problema, naturalmente, economico, con le conseguenti ripercussioni sui consumi e quindi sull’intero sistema produttivo. Ma anche una questione culturale, sociale e profondamente politica. Molti cittadini, specie i più giovani, data la situazione, non considerano più il lavoro come parte centrale della propria vita. Si limitano a cercare un’occupazione come mezzo per avere una certa quantità reddito da spendere in altre attività considerate più gratificanti. Una vera e propria svalorizzazione del lavoro, che, invece, ricordiamolo, è, o almeno dovrebbe essere, così dice la nostra Costituzione, fondamento della Repubblica, della vita civile, contributo per il benessere della comunità, strumento di inclusione sociale, base per la realizzazione di progetti personali e familiari (non a caso diminuisce anche la natalità), elemento costitutivo della propria identità, momento di aggregazione. Le cause di tutto ciò vanno certamente collegate a fattori strutturali, come la globalizzazione e la digitalizzazione, che hanno creato un mondo nuovo e più individualista, con l’ulteriore amplificazione dell’isolamento causata dalla pandemia. Tuttavia negli altri Paesi occidentali, investiti da fenomeni identici, non c’è stata una simile parabola discendente dal punto di vista lavorativo: molto da noi è determinato da un costo del lavoro elevatissimo a fronte di retribuzioni molto basse, il che impone con urgenza di provvedere a un taglio poderoso del cuneo fiscale per cambiare le cose. Dalla politica finora sono giunte risposte poco incisive e lungimiranti, penalizzate anche da un biennio di crisi ed emergenze continue. Ma degli interventi sono urgenti, per mantenere e ripristinare la necessaria coesione sociale. Per questo è necessario portare avanti attività come quella del Rapporto Censis-Ugl: per capire cosa accade, per un confronto finalizzato a trovare soluzioni, purché nell’interesse del Paese e dei cittadini italiani.