Si tratta di uno dei punti più attesi, ma anche, ragionandoci a fondo, uno dei più controversi. La proposta di legge unificata prevede l’introduzione del diritto soggettivo alla disconnessione, da intendersi come il diritto di estraniarsi dallo spazio digitale e di interromperne la connessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche in proprio possesso. Il tutto, naturalmente, senza conseguenze disciplinari o retributive. La norma prevede che gli accordi individuali definiscano gli orari di disconnessione, con la possibilità per il dipendente di vantare il diritto alla disconnessione in ogni caso in coincidenza con il periodo di riposo. Tale diritto alla disconnessione verrebbe inserito anche all’interno del testo unico in materia di salute e sicurezza, il dlgs 81/2008, con riferimento alla sorveglianza in caso di lavoro al videoterminale. Salvo il fatto non costituisca un reato più grave, è prevista l’applicazione dell’articolo 615-bis del Codice penale, che sanziona le interferenze illecite nella vita privata di una persona. Il diritto alla disconnessione, però, alimenta un paradosso. Se è corretta la sua applicazione nei casi in cui il dipendente deve prestare servizio in una determinata fascia oraria per interfacciarsi, seppure da remoto, con utenti e clienti, sorge qualche dubbio nei casi in cui il dipendente è chiamato a operare su obiettivi nei quali la tempistica oraria giornaliera poco c’entra. Un esempio aiuta a chiarire il concetto: un genitore chiede di accedere al lavoro agile per meglio conciliare le esigenze di assistere il figlio. Tale genitore, per avere più tempo libero durante il giorno, potrebbe decidere di portare avanti il proprio lavoro in orario serale, durante quella che verosimilmente sarà la fascia di disconnessione più gettonata. Stando così le cose, questo genitore rischia di trovarsi molte più ore davanti ad un computer rispetto a quando si reca in ufficio, facendo venire meno la ratio stessa del lavoro agile.