di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

In Occidente e in Europa sempre più ci si interroga sull’efficacia delle sanzioni rivolte alla Russia, come ha fatto recentemente il giornalista e saggista “naturalizzato americano” Federico Rampini sul Corriere della Sera (“Il mondo diviso su Putin”). Mentre il Governo italiano, oggi con i ministri Di Maio e Cingolani in missione in Congo e in Angola, sta effettuando una corsa contro il tempo per trovare entro l’inverno alternative al gas russo, dalla Germania, il locomotore d’Europa, arrivano segnali di “insofferenza”. La Bda, l’Associazione degli industriali tedeschi, e la Dgb, l’Associazione dei sindacati tedeschi, hanno firmato una nota congiunta nella quale hanno espresso la loro contrarietà all’ipotesi di embargo del gas russo, perché temono una deindustrializzazione del Paese. La Germania è un modello in materia di partecipazione dei lavoratori alle scelte e ai risultati di impresa e, in questo caso, si fa paladina di un interesse nazionale, pur trattandosi di Paese convintamente europeista, anteposto alle scelte di Bruxelles.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha espresso chiaramente e più volte la volontà di allargare le sanzioni verso la Russia anche all’energia. Ma non rassicura evidentemente tutti – e non dovrebbe rassicurare neanche l’Italia, infatti – sapere che l’Ue sta lavorando a «meccanismi intelligenti» affinché il petrolio russo possa essere incluso nelle prossime sanzioni. La priorità «assoluta» di Bruxelles, in questo momento, è ridurre le entrate di Putin, quando la pandemia e le ripercussioni economiche dovute alla pandemia stessa sono tutt’altro che superate, mentre incombono i riflessi sgradevoli della transizione ecologica.
I presidenti Rainer Dulger (industriali) e Rainer Hoffmann (sindacati) la vedono diversamente da Bruxelles: le sanzioni dovrebbero essere mirate, esercitando cioè una pressione circoscritta al destinatario e prevenendo il più possibile i danni alla propria economia. Dulger e Hoffmann sostengono che un blocco delle importazioni del gas russo avrebbe conseguenze più gravi per l’economia e per il mercato tedesco che non per quello russo. Dando così, di sicuro involontariamente, manforte alla smentita di Putin rispetto alle parole, sicuramente incaute, espresse in un discorso alla Duma dalla governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, secondo la quale le sanzioni imposte dopo il conflitto in Ucraina avranno «un impatto più forte sull’economia» russa di quanto non l’abbiano avuto all’inizio.
Quale che sia la verità, che differisce dal punto di vista dalla quale si osserva la realtà, per gli industriali e i sindacati tedeschi nei prossimi mesi ci saranno già altri problemi da risolvere e, per questa ragione, non è consigliabile agire da una posizione di debolezza, quale si verificherebbe con uno stop al gas russo. Un ragionamento che, fatte le dovute proporzioni, dovrebbe valere per l’Italia e, in generale, per tutta l’Europa.