Il Pnrr sembra segnare il passo. Il rischio vero è nel 2026 molti cittadini, in particolare del Mezzogiorno, finiranno per stare peggio di oggi, perché i comuni in cui risiedono non sono stati messi in condizioni di operare bene, anche per la carenza di personale adeguatamente formato

Il Documento di economia e finanza, soprattutto in un momento di grave incertezza e complessità, è utile per comprendere l’andamento complessivo della nostra economia e la strategia che il governo intende adottare nei prossimi mesi e, successivamente, con la Legge di bilancio per il 2023. Sarebbe quindi un errore derubricare il tutto ad un mero esercizio lessicale, come se semplicemente avessimo davanti un atto dovuto. Ed infatti, come Organizzazione sindacale, nel corso dell’audizione parlamentare di questa settimana, abbiamo ribadito alcuni punti per noi centrali. In primo luogo, la questione del potere d’acquisto delle famiglie, alla luce dell’impennata dei prezzi al consumo, conseguenza diretta della speculazione da Covid-19 e da guerra russo-ucraina e della nostra dipendenza energetica. Serve nell’immediato la defiscalizzazione dei rinnovi contrattuali, con un progressivo riallineamento degli stipendi reali al costo della vita, necessario anche per le pensioni in essere, mentre per la riforma previdenziale occorre ripartire dal dialogo con tutti i soggetti sociali. Al governo, abbiamo anche chiesto di guardare ai comuni, in forte difficoltà nel garantire servizi pubblici essenziali, compresa l’illuminazione. Lo stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza sembra segnare il passo, tanto che, giorno dopo giorno, diventa sempre più concreto il rischio che l’obiettivo di indirizzare almeno il 40% nel Mezzogiorno rimanga sulla carta. L’esperienza pregressa, in questo senso, ci fa guardare con estrema preoccupazione alla capacità di progettare e spendere delle regioni e dei comuni meridionali; il rischio concreto è che nel 2026 le distanze fra i territori, invece di ridursi, si saranno ulteriormente allargate.