Davanti ad eventi così repentini e diffusi, è da porsi una domanda: ha ancora senso utilizzare schemi presi dal passato? La risposta non è semplice e neanche da evitare, perché la posta in gioco è altissima, in termini di posti di lavoro e di economia reale

Neanche il tempo di iniziare a pensare al mondo con il Covid-19 sotto controllo, o quasi, ed ecco aprirsi una nuova crisi destinata ad impattare in maniera molto significativa sull’economia, ma anche sulla vita quotidiana delle persone. La guerra russo-ucraina non è e non può essere considerata alla stregua degli altri conflitti che insanguinano diversi Paesi dell’Africa o dell’Asia. E questo non soltanto per la vicinanza fisica: Kiev è a meno di 2.500 chilometri da Roma. L’impatto di questa guerra è di ordine psicologico – è straziante vedere milioni di profughi, quasi tutti bambini con le loro madri, lasciare la propria casa con quasi nulla dietro -, ma pure di ordine economico, perché, al netto di tutto, l’Europa è interconnessa con l’Ucraina e la Russia. Dall’est arrivano gas, petrolio, grano, ma anche acquirenti per i nostri prodotti del lusso. Non a caso, Milano sta soffrendo più di altre città questa crisi. A milioni di laureati è stato detto che la programmazione è centrale per la vita di una impresa; la capacità di fare i conti con quello che si ha, potenziando i punti di forza e limando le carenze, come condizione per generare benessere. Un paradigma che oggi rischia però di andare in soffitta, vista la velocità del cambiamento. In tanti, in questi giorni, stanno chiedendo al governo di aggiornare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, mentre sarebbe giusto chiedersi anche se ha senso la scansione temporale di sette anni in sette anni che ordinariamente impiega l’Unione europea. Di certo, rimane irrinunciabile il lavoro di studio portato avanti da soggetti come FondItalia, con la capacità di legare i destini dei datori di lavoro e dei loro dipendenti.