Il “balletto” dei prezzi indotto dal conflitto. Allevatori e agricoltori chiedono «l’avvio di un’indagine su tutte le industrie e le catene della GDO che praticano svendite sottocosto violando la norma»

Fare la spesa al supermercato, alla pompa di benzina, ovunque, ormai è diventata un’impresa. I prezzi dei beni di prima necessità sono arrivati a costi esorbitanti. Ma è tutto spiegabile con il conflitto ucraino? Non proprio. Sappiamo che il Governo italiano è intervenuto per calmierare i prezzi della benzina, attraverso il meccanismo dell’accisa mobile, già peraltro condannato da Assopetroli, che fino al 30 aprile farà diminuire di 25 centesimi al litro il prezzo. Oggi Coldiretti, impegnata in una manifestazione con migliaia di persone, mucche e trattori a Potenza, in occasione del Consiglio dei ministri europei Agricoltura e Pesca a Bruxelles, che dovrà discutere del piano anticrisi e degli interventi straordinari dalla Commissione Ue per affrontare l’emergenza Ucraina, invita ancora le istituzioni italiane ed europee ad aprire gli occhi. Secondo quanto pubblicato dall’agenzia Agi sul suo sito, la Fao ha avvertito che la crisi tra Russia e Ucraina ha solo accelerato un processo di crisi del prezzo di grano, farina e semi già cominciato dallo scoppio della pandemia da Covid-19. «Stavamo già avendo problemi con i prezzi del cibo. Ora il conflitto sta esacerbando la situazione, mettendoci in una situazione in cui potremmo facilmente cadere in una crisi alimentare», ha detto Torero, capo economista dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, in un’intervista al Guardian. Scenario che si potrebbe verificare, però, tra quei 50 paesi che oggi dipendono dalla Russia e dall’Ucraina per il 30-50% della propria disponibilità di grano. Kiev ha lanciato un programma di sostegno all’agricoltura per assicurarsi almeno il 70% dei quasi tre quarti della produzione di grano per l’anno in corso. Ma attenzione: le esportazioni di grano dall’Ucraina in Ue sono state pari a 5,4 miliardi di euro nel 2020, con l’Italia che si è posizionata al decimo posto tra gli acquirenti del Vecchio Continente, per circa il 4% del proprio fabbisogno. Dunque, l’aumento del prezzo del pane e della pasta non sarebbe legato alla guerra, almeno nei nostri negozi. Situazione diversa nei Paesi in via di sviluppo: in Nord Africa, Asia e vicino Oriente, che dipendono dal grano est europeo per quote a doppia cifra. A preoccupare Coldiretti, infatti, sono le speculazioni che «si spostano dai mercati finanziari in difficoltà ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli, dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto».