di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

Gli ultimi dati sul mercato del lavoro italiano messi a disposizione dall’Istat e relativi allo scorso gennaio in linea generale attestano una tenuta dell’occupazione con numeri stabili, ma, se osservati dal punto di vista femminile, mostrano segnali preoccupanti. Infatti il “bilancio in pareggio” ovvero il numero costante degli occupati deriva da una crescita del numero della componente maschile contemporanea ad una riduzione di quella femminile. Ci sarebbero anche altre riflessioni da fare, ad esempio per classi di età (aumentano gli occupati nelle ali estreme, under 25 ed over 50, in maggiore difficoltà la fascia intermedia 25-50), ma il dato sull’occupazione delle donne è quello che più salta agli occhi. Rispetto agli uomini, ci sono meno donne occupate, più disoccupate e sono molte di più le donne inattive, ovvero che non cercano neanche un lavoro. In percentuali, considerando tutte le persone in età attiva, ovvero fra i 15 ed i 64 anni, il tasso di occupazione maschile è al 68,1% mentre quello femminile si ferma al 50,3, il tasso di disoccupazione maschile è all’8% invece quello femminile è al 9,8%, il tasso di inattività maschile è al 25,9% mentre quello femminile ben al 44,1%. Un quadro chiarissimo, a pochi giorni dalla ricorrenza dell’8 marzo, che ci impone di cercare delle soluzioni per coinvolgere maggiormente le donne nel mercato del lavoro italiano. Ne va della loro piena inclusione sociale, del generale benessere delle famiglie e quindi dell’intera popolazione, non solo presente ma anche futuro, dato che disoccupazione, lavoro irregolare o impiego scarsamente retribuito significano anche pensioni inadeguate. Ne va anche della sicurezza delle donne, che, se economicamente non indipendenti, sono maggiormente esposte a dinamiche di esclusione sociale, soggezione e violenza. Il tema non è nuovo e deriva da mali annosi, di tipo culturale, di carenza di servizi, mancanza di un’organizzazione del lavoro positivamente flessibile, di orari delle città in grado di garantire una conciliazione gestibile fra impegni professionali e personali, dato che per molte donne lo scoglio maggiore nell’inserirsi e nel rimanere nel mondo del lavoro è rappresentato dalla difficoltà nel bilanciare gli impegni di lavoro ed il ruolo di cura verso i familiari, in larga parte sostenuto dalle donne. Ci sono poi anche le nuove criticità: la crisi Covid dal punto di vista economico ha penalizzato soprattutto il settore dei servizi, dove la componente femminile è maggiore e questi sono i risultati. Occorrerebbe intervenire su entrambi i fronti, le politiche per la conciliazione e quelle per far riprendere un settore importante come quello dei servizi, per imprimere una svolta positiva e favorire l’occupazione femminile. Anche se il momento, politico ed economico, non è favorevole: ora, ancora immersi nelle conseguenze della pandemia, ci troviamo a dover fare i conti con la crisi energetica e con la guerra tra Russia e Ucraina. Bisogna comunque affrontare la situazione perché una ripresa che non include le donne resta per tutti una ripresa a metà, dal punto di vista sia economico che sociale.