di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

In Europa ormai da una settimana c’è un conflitto vero. L’Ucraina sta subendo un duro attacco, con truppe nemiche e bombardamenti, vittime, civili in fuga. C’è, poi, il timore di un’escalation che potrebbe far apparire quello spettro tenuto in un armadio dalla seconda guerra mondiale in poi: lo scontro nucleare. E, in aggiunta, anche i problemi economici, finora non affrontati, come l’eccessiva dipendenza dell’Europa, ed in particolare di alcuni Paesi, fra cui il nostro, dall’estero e anche da Stati politicamente instabili o inaffidabili per l’approvvigionamento beni e materie prime essenziali, da quelli alimentari all’energia. Insomma, di argomenti di cui parlare e di attività da intraprendere a tutti i livelli ce ne sarebbero a iosa: iniziative umanitarie per i profughi, azioni politiche in difesa dell’Ucraina e per proteggere il resto dell’Europa, attività diplomatiche per giungere a un accordo di pace, piani per il risparmio energetico e per la creazione o riconversione delle produzioni verso i beni di cui c’è o ci potrebbe essere a breve carenza. E, invece, come purtroppo accade spesso nel nostro Paese e in generale nel mondo Occidentale, e questo è un segno tangibile di un declino politico, sociale e intellettuale che andrebbe superato nell’interesse di tutti, c’è chi si concentra su iniziative tanto inutili ed inconsistenti quanto fuori luogo, in una ridicola “guerra dei bottoni” verso tutto ciò che riguarda la Russia. Non intesa come l’attuale governo Putin contro il quale è schierato l’Occidente, cosa che sarebbe anche normale data la situazione, ma come cultura e civiltà russa tout court. Cancellazione di corsi universitari sui classici della letteratura russa, opere di autori nati secoli fa, ritorsioni contro artisti, sportivi o personaggi pubblici colpevoli solo di avere la cittadinanza russa, non importa se vicini o invece ostili al regime di Putin. Un ostracismo che sembra ispirato alla cancel culture in voga negli Usa, che vorrebbe rimuovere il passato coloniale e di segregazione razziale non con interventi per la promozione sociale delle minoranze in difficoltà, ma abbattendo statue e censurando libri e film. In modo altrettanto insensato, ora si sta facendo lo stesso con la cultura russa. Possibile che non si comprenda, da un lato, che le vicende politiche ed i governi in carica sono una cosa ed i popoli e le civiltà un’altra? E che non si capisca, dall’altro, quanto questa ossessione verso iniziative inconsistenti distragga da questioni urgenti e politiche concrete, sociali ed economiche, realmente vitali, per gli ucraini come per gli europei e gli italiani? Siamo davvero condannati ad avere orizzonti tanto limitati? Allora, futilità per futilità, se le nostre battaglie si limitano alla cancel culture, approfittiamone per cambiar nome alle tante vie dedicate a personaggi tutt’altro che democratici e pacifici e per giunta di nazionalità russa, da Lenin a Stalin e così via. Che, sembrerà incredibile, ma è vero, ancora possiamo trovare nelle nostre città.