di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

Viviamo da un po’ di anni in un mondo complicato e pieno di indeterminatezza sul futuro che ci aspetta e tante certezze che avevamo sono venute meno. Una società liquida, così si dice. Ricca di nuove opportunità per tanti versi, ma molto difficile da affrontare nei momenti di crisi, in assenza dei vincoli, ma anche delle stabilità del passato. Una situazione che si è venuta a creare con la globalizzazione, poi acuita dalla crisi Covid, ora ancora più precaria a causa dei venti di guerra che dopo settant’anni sono tornati a soffiare sull’Europa. Non ci sono più le grandi ideologie, i nuclei familiari sono più piccoli e a volte del tutto individuali, il posto fisso fino alla pensione è solo un ricordo, almeno per le generazioni più giovani, costrette ad avere a che fare con contratti a termine e multinazionali pronte a trasferire i propri impianti altrove alla prima difficoltà. Restano solo i mercati, condizionati dalle turbolenze economiche, politiche e sanitarie e non certo orientati alla responsabilità sociale. Eppure qualche antidoto per avere dei punti fermi, anche in questa situazione generale di incertezza, c’è. Uno, per esempio, e lo diciamo da quando i problemi di oggi non erano neanche all’orizzonte, è la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Un modo concreto ed efficace per avere maggiore stabilità e senso di comunità, almeno nell’ambito lavorativo. Un modello antico, ma nuovo, perché mai messo in pratica in modo sistematico nel nostro Paese, per pregiudizio ideologico, nonostante la sua efficacia. Un sistema particolarmente adatto ad affrontare le sfide del presente perché riesce a porre un argine all’incertezza. La partecipazione, infatti, crea un legame saldo fra azienda, lavoro e territorio. Mette insieme, al centro degli interessi di tutte le parti in causa, datori e dipendenti, le esigenze di competitività e quelle di salvaguardia del lavoro e dei livelli occupazionali, cercando di competere sui mercati puntando sull’efficienza, anziché comprimendo i diritti e le tutele dei lavoratori. E consente anche di mantenere nel territorio le tradizioni industriali, le competenze, conservando ed aumentando il benessere generale, evitando la desertificazione, riducendo diseguaglianze ed esclusione sociale. Noi lo diciamo da anni, ma adesso, nel contesto odierno, è ancora più urgente promuovere e incentivare questo modello per indirizzare il futuro dell’Italia verso prospettive di ripresa che siano solide e sostenibili. Di fronte a crisi sempre più ravvicinate e preoccupanti, fra le azioni urgenti da mettere in campo nell’interesse generale c’è la piena e concreta attuazione e promozione dell’articolo 46 della nostra Costituzione. Non dobbiamo perdere altro tempo: una risposta sempre attuale alle incertezze del presente c’è e non bisogna fare altro che metterla in pratica.