di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Mentre ieri sera il “riconoscimento in diretta tv” delle Repubbliche autoproclamate di Luhansk e Donetsk da parte del presidente russo Vladimir Putin lasciava e lascia ancora presagire l’inizio di una guerra, era inevitabile riflettere su quanto sia stato dannoso dare risposte, peraltro sbagliate e pericolose, all’ambientalismo idealista – oggi in assordante silenzio – di Greta Thunberg, invece di preoccuparsi dell’azzardo di essere parte dell’alleanza atlantica, essendo contemporaneamente dipendenti per l’approvvigionamento di gas da un Paese, la Russia, “nemico” agli Usa e quindi della Nato. Il cerchio adesso si è chiuso e con il cerino in mano è rimasta l’Europa.
L’avesse scelta l’Italia una strategia simile si sarebbe parlato delle solite ambiguità di un Paese incapace di scegliere una linea chiara e di saper guardare lontano. È dell’Europa, invece, che stiamo parlando e lo “strabismo”, da cui dimostra di essere affetta, non è soltanto economico, ma, ciò che è peggio, anche politico. Come se ne esce? Come più volte chiesto e proposto dall’Ugl, è necessario diversificare le fonti di gas e, allo stesso tempo, andare verso l’utilizzo di fonti alternative come il gas, nucleare di nuova generazione, idrogeno e CCS (Capture Storage CO2). Ma l’indipendenza energetica presuppone una visione politica libera da strabismi e ambiguità. L’Europa, questa visione, ce l’ha? Legittimo dubitarne, visto che l’Ue deve risolvere o sta cercando di farlo, adesso, un’altra forma di dipendenza, quella tecnologico-industriale dalla Cina.
Tornando alla dipendenza da gas, Mosca fornisce all’Europa circa il 40% del suo gas naturale principalmente attraverso gasdotti. Gli Usa hanno già avvisato l’Ue – in particolare la Germania, nella persona del cancelliere tedesco Olaf Scholz – che «se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non deve andare avanti». Nord Stream 2, un lascito dell’ex cancelliera Angela Merkel, è di proprietà della compagnia energetica russa Gazprom, è un gasdotto da 11 miliardi di dollari che si estende sul fondo del Mar Baltico per oltre 1.200 km, dall’ovest della Siberia alla Germania, senza attraversare i Paesi baltici ovvero Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria (quelli del gruppo di Visegrad), la Bielorussia e l’Ucraina. Completato nel settembre del 2021, il gasdotto non è ancora operativo, ed è in attesa del via libera da parte degli enti regolatori tedeschi e della Commissione Ue. La Germania ha fortemente voluto l’accordo con Mosca per il Nord Stream 2 con l’obiettivo di consolidarsi come hub gasiero dell’Europa settentrionale e centrale.
«Alla luce delle ultime azioni della Russia, la certificazione per l’avvio della pipeline Nord Stream 2 non potrà essere data», ha annunciato Scholz, rispondendo alle pressioni dell’Amministrazione Usa che chiedevano una reazione alle azioni militari russe. A proposito di ambiguità e di cerino in mano.