di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

La pandemia ci ha profondamente cambiato, questo è un dato di fatto. Purtroppo però non sempre in meglio, anzi. Ad esempio lasciano piuttosto basiti e preoccupati le notizie che ci giungono dal Canada. Nel grande Stato nordamericano sono in atto delle sentite e partecipate manifestazioni contro le restrizioni anti-Covid, portate avanti in particolare dagli autotrasportatori e dai camionisti ed iniziate lo scorso 29 gennaio. Proteste contro l’obbligo della vaccinazione imposto alla categoria, ma anche contro le ripercussioni sul settore del caro energia e della transizione ecologica, un po’ come era accaduto tempo fa in Francia con i gilet gialli: le criticità del momento – la pandemia, le restrizioni, le diatribe fra favorevoli e contrari ai vaccini – si sono sommate ad un malessere che già c’era, legato ai costi sociali della globalizzazione per le fasce medio-basse della popolazione nel mondo occidentale, malessere che, evidentemente, ora come negli anni recenti, la politica non è stata in grado di ascoltare e fronteggiare con misure di sostegno sufficienti. Le proteste, va detto, sono state anche piuttosto dure, con blocchi stradali che hanno causato perdite ingenti all’economia canadese e nord americana. Tanto che il premier Trudeau ha deciso di dichiarare, lunedì scorso, in attesa dell’approvazione del Parlamento che dovrà arrivare entro una settimana, lo stato di emergenza pubblica nazionale, cosa che in Canada era accaduta solo una volta in tempo di pace, nel lontano 1970. Una condizione, quella dello stato d’emergenza, che darebbe al governo, per un mese, «poteri straordinari» con la facoltà di vietare raduni e manifestazioni e limitare gli spostamenti. Comprensibile la necessità di mantenere l’ordine pubblico, proteggere l’economia e tutelare la salute collettiva data la pandemia – in Italia ne sappiamo qualcosa, col nostro stato d’emergenza che dura da oltre due anni – ma sembrerebbe che non ci si voglia fermare qui. Addirittura l’idea sarebbe quella di bloccare i conti correnti dei manifestanti, ampliare i poteri delle istituzioni finanziarie per tracciare e controllare le sovvenzioni verso le proteste e sospendere le assicurazioni dei camion utilizzati nei blocchi del traffico senza più bisogno dell’ordine del tribunale. Poteri inauditi di repressione che lasciano perplessi anche perché, forse è il caso di ribadirlo, non sono indirizzati verso associazioni criminali, queste invece controllate ancora troppo poco nelle loro attività di riciclaggio, ma nei confronti di cittadini colpevoli solo di protestare – per quanto in alcuni casi in modo eccessivo – per le proprie idee e per cercare a loro modo di difendere il proprio lavoro. Notizie inquietanti, che dovrebbero allarmare tutti i sindacalisti e non solo, nell’auspicio che questo potere coercitivo così pervasivo non venga riprodotto anche qui in Europa.