di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

È stato rinnovato più volte, anche andando oltre i due anni previsti dalla legge: l’Italia è in stato d’emergenza a causa della pandemia dal 31 gennaio del 2020, con tutto ciò che ne è conseguito. A quanto sembra, comunque, alla scadenza del termine attuale, fissata al prossimo 31 marzo, non dovrebbe essere ulteriormente prorogato, anche se la prudenza, dati i precedenti, è d’obbligo. Cosa comporterebbe per il Paese la fine dello stato d’emergenza? Moltissimi importanti cambiamenti. In questi ultimi anni, nel bene e nel male, l’Italia si è abituata a convivere con un regime di eccezionalità che ha condizionato profondamente le vite personali, sociali e professionali dei cittadini ed anche le scelte della politica e dei governi in carica. Senza la proroga dello stato d’emergenza decadrà il Comitato Tecnico Scientifico, non saranno più indette le riunioni delle cabine di Regia tra Governo e Regioni ed anche il Commissario straordinario Figliuolo cesserà dalla propria carica. Le ripercussioni in campo di politica sanitaria, che tornerebbe in capo a Ministero e Regioni, sarebbero evidenti, anche per quanto riguarda il prosieguo della campagna vaccinale, in attesa che si sappia se effettivamente la terza sarà l’ultima dose di vaccino richiesta per avere il green pass: quest’ultimo, infatti, non è legato all’emergenza e potrebbe restare in vigore anche dopo la sua scadenza. Terminerebbe il sistema dei colori attribuiti alle Regioni sulla base dei parametri di di diffusione del Covid-19, ossia non ci sarebbero più territori in zona gialla, arancione o rossa. Soprattutto verrebbero meno i poteri straordinari del governo, che attualmente può operare in deroga alle leggi per motivi di sicurezza sanitaria. Un altro contraccolpo forte sarebbe avvertito dal mondo del lavoro ed in particolare dalle aziende del terziario privato (nel pubblico già sono state previste norme specifiche): lo smart working in regime semplificato è possibile proprio a causa e fino al perdurare dello stato d’emergenza, poi tornerebbe la necessità, per lavorare da remoto, di stipulare accordi individuali fra azienda e lavoratori. Comunque tutto lascerebbe pensare, dati relativi alla curva epidemiologica in primis, fortunatamente in calo, che questa potrebbe essere la volta buona per il ritorno ad una, se non totale, almeno quasi completa normalità. Se gli effetti del virus, grazie ai vaccini, a una parziale immunità di gregge, ad una minore pericolosità della variante Omicron, saranno gestibili dal sistema ospedaliero, in termini di ricoveri e terapie intensive, lo stato d’emergenza non avrà più motivo di perdurare. E potremo dire, finalmente, di esserci messi alle spalle la fase peggiore della pandemia. Anche rinunciando a quella “coperta di Linus” che è stata, per la politica e non solo, la proclamazione dello stato d’emergenza.